Con un messaggio radiofonico alla nazione, Pietro Badoglio annunciò, in questo fatidico 8 settembre, l’armistizio con le forze anglo-americane. Cominciò uno dei periodi più bui per l’Italia

«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Questo il testo del proclama letto dal maresciallo Pietro Badoglio ai microfoni dell’Eiar alle 19,42 di un giorno salutato da molti come quello che avrebbe rappresentato la fine di un conflitto che aveva ridotto gli italiani allo stremo. Ma la realtà si presentò immediatamente in tutta la sua tragica dimensione.

L’Italia, divisa in due, precipitò nel caos.

La guerra civile

Un proclama ambiguo, infatti, quello di Badoglio, incurante delle sorti della popolazione italiana, già provata da anni di guerra, ma anche e soprattutto delle sorti  dei nostri militari, a cui furono impartiti ordini altalenanti e contradditori.

Il re Vittorio Emanuele III di Savoia

Così, caduto Mussolini, il nuovo capo del governo,Pietro Badoglio,  nominato dal re Vittorio Emanuele III, annunciava formalmente un armistizio già firmato il 3 settembre di quello stesso anno dal generale Castellano, da lui delegato a tale compito, e il suo pari grado Eisenhower.

Di fatto consegnava l’Italia a forze straniere. Americane al sud, tedesche al nord.

Un tradimento che culminò con la fuga delle nostre Istituzioni da Roma il 9 settembre, quando si diffuse la notizia dell’imminente arrivo nella Capitale delle truppe tedesche.

Pietro Badoglio, il re Vittorio Emanuele III e suo figlio Umberto, abbandonarono Roma dapprima dirigendosi alla volta di Pescara, poi a  Brindisi, che  per una manciata di mesi fu sede  delle nostre Istituzioni.

La rappresaglia dei tedeschi

Ovvia e quanto mai in linea con il modus operandi del terzo Reich la rappresaglia tedesca. Il comando supremo infatti diede il via al piano Achse e nella stessa notte di quel fatidico 8 settembre, giocando sull’elemento sorpresa, i militari tedeschi presero possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie, nonché caserme.

Quale l’obiettivo? Isolare l’Italia da ogni possibile contatto con l’estero e impedire l’eventuale fuga di militari italiani.

Fu un eccidio senza precedenti. Molti soldati italiani, soprattutto gli ufficiali, che rifiutarono di schierarsi con i tedeschi furono fucilati, mentre oltre 800mila militari furono catturati e internati in lager germanici. Ma tanti, ancora presenti sui vari fronti, rimasero senza ordini precisi e nella confusione più totale. Non fu chiaro per loro infatti  quale fosse il nemico contro cui combattere.

Non andò meglio per la popolazione, già messa a dura prova dalla penuria di cibo e di altri beni di prima necessità negli anni del conflitto. E, se al sud furono istituite le tessere annonarie, al nord ebbe inizio la lotta partigiana.

Si combatteva per strada e si viveva nella paura e nel sospetto, mentre i militari tedeschi, animati dall’odio del tradimento italiano, rastrellavano le abitazioni, le campagne. La morte era dietro ogni istante di una quotidianità distrutta.

Furono anni terribili, segnati da rappresaglie e rancori mai sopiti e solo il 25 aprile del 1945 vi fu l’epilogo di questo inferno. Le truppe partigiane liberarono Torino e Milano e l’Italia uscì dall’incubo

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