PechinoL’esercito e la marina di liberazione popolare cinese, mostrano con orgoglio la bandiera scarlatta, simbolo delle forze armate cinesi e forza primaria della nazione più potente al mondo. L’espansionismo cinese, guarda ancora con fiducia verso l’estremo sud nell’immenso continente africano, fonte di ricchezza e base strategica avanzata, vista dai cinesi, come la spada per contrastare il potere economico e finanziario dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti d’America.

Xi jnping, sa benissimo quanto sia costata al governo cinese, la pandemia Covid, in termini di perdite economiche ed in termini di investimenti all’estero, l’economia cinese con i proventi derivanti dall’estero, stava per entrare in un meccanismo di implosione e i primi segnali arrivarono non poco tempo fa dal collasso del gigante finanziario cinese Ever Grande, un colosso che opera nel settore immobiliare con decine di Holding e una gestione contenente uno stock azionario di oltre settanta miliardi di dollari. Noccioline, per gli operatori di mercato che a Shangaij  che vedono scendere a picco il titolo Ever Grande, ma un segnale importante sottoposto alla millenaria saggezza cinese, quando un chicco di riso, poteva far pendere l’ago della bilancia e la Cina, non può permettersi il lusso di bruciare decine e decine di miliardi in borsa.                                                    Dopo gli effetti della pandemia, in pieno Post-Covid la propaganda cinese, urla a tutto il mondo che il Covid è stato sconfitto grazie alla caparbietà e al carisma del Reggitore Supremo del Partito Comunista Cinese Xi Jinping, le accuse di Donald Trump non lo scompongono nemmeno, il fantasma Mao Zedong aleggia nei palazzi di potere, la rivoluzione culturale cinese, sembra aver avuto i suoi effetti, ben presto rivisti e cancellati, assimilati all’enorme processo produttivo e progressista voluto dal Comunismo Cinese, che in parte ha esorcizzato il fantasma maoista, annullato il pensiero culturale rivoluzionario e impostato il nuovo programma economico, basato su crescita economica, espansionismo e produttività con capacità di esportazione superiori alla norma. “Le vie della Seta”, predetta molti secoli addietro dal navigatore veneziano Marco Polo, prendono sempre più fondamento proiettando la Cina, come la paladina del Sud, o meglio dire, dell’emisfero sud dell’intero Globo Terrestre.

L’Africa diventa un hub strategico per la potenza planetaria cinese, con l’ambizione di diversificare nel giro di un quinquennio gli investimenti e soprattutto ampliare i rapporti politici economici e sociali, utilizzando il metodo più comune adottato dai cinesi: la capacità di entrare nei tessuti produttivi delle altre nazioni, con un’economia a basso costo e con un’esportazione dei prodotti cinesi ad alta intensità per rifornire i paesi economicamente vulnerabili di ciò che hanno bisogno e non possono produrre.

Nell’era post covid i rapporti bilaterali con i paesi africani, diventano sempre più intensi e proficui, sul piano diplomatico e commerciale, la scarsa capacità di condurre un’adeguata manovra fiscale da parte dei paesi dell’Africa povera, induce Pechino e erogare contanti e ad investire nelle infrastrutture di questi paesi, per promuoverne la crescita. Ma di fatto, quando un paese eroga contanti per un paese straniero, in realtà oltre ad essere creditore e anche colui che ne controlla la politica interna.                                                                                                                                        Nel post covid, dal 2020, fino ad arrivare al 2024, gli investimenti cinesi in paesi come il Ghana, la Repubblica Democratica del Congo, la Costa d’Avorio, il Mozambico, lo Zimbawe, il Gabon, hanno raggiunto una quota complessiva di 38,9 miliardi di dollari, con un riscontro negativo derivante dal ritorno degli investimenti, elargiti in larga parte con il fine ultimo da parte di Pechino a contrastare vivamente l’azione dei Paesi Europei e degli stessi Stati Uniti, visti come i principali finanziatori di guerre e colpi di stato, dall’altro-questo l’aspetto più importante-con il fine ultimo di portare materia prima verso la Cina.

L’Africa possiede circa il 30% delle riserve mondiali di minerali, fonte di approvvigionamento primaria per produrre la tecnologia necessaria ad affrontare la transizione energetica come batterie per auto elettriche, pannelli solari e turbine eoliche, oltre che per tecnologie nell’ambito della difesa. La Repubblica Democratica del Congo produce circa il 70% del cobalto mondiale, il Sudafrica detiene la quota maggiore di riserve di manganese, il Madagascar e il Mozambico hanno quote significative di grafite e lo Zimbabwe ha grandi depositi di litio. Altri paesi sono significativi: lo Zambia per il rame, la Namibia per l’uranio, la Guinea e il Ghana per la bauxite.

 Un potente volano di crescita, che potrebbe rilanciare ulteriormente la Cina nell’esportazione di semilavorati e derivati, grazie allo sfruttamento delle risorse minerarie africane, un gigantesco connettoma che potrebbe ben presto diventare il futuro delle nazioni africane, grazie anche agli investimenti cinesi-seppur ridimensionati nell’ultimo quadriennio, con un significato taglio da parte del massimo organo economico nazionale cinese, che ha previsto un taglio di 29, 8 miliardi  di investimenti, lasciando solo una cifra che si aggira intorno agli 1’8 miliardi di dollari. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che la riduzione degli investimenti cinesi, deriva dal fatto che alcune nazioni principalmente il Ghana, non sono state in grado di attuare una politica fiscale adeguata, contribuendo al totale sfacelo del tessuto socio economico. Come contro-conseguenza, la Cina ha comunque erogato prestiti, ma diminuendo, oltre alle somme, anche i tassi di interessi per andare incontro alla domanda interna dei paesi in difficoltà, un sistema, che oltre agli investimenti di natura economica e infrastrutturale, riguarda anche-per la Cina-una sfida in chiave politica.

Per la Cina, consapevole dei continui mutamenti dei quadri geopolitici globali, l’Africa rappresenta un enorme serbatoio di voti, riguardanti la Governance Mondiale e un paese sicuro per investire nell’energia alternativa oltre che un potente volano per la transizione energetica.

Un paese povero, che ha il più alto numero al mondo di popolazioni civili che non hanno accesso all’energia elettrica è fonte appetibile per la potenza planetaria cinese. Le compagnie energetiche cinesi sembrano più intenzionate ad investire nei paesi più poveri, favorendo il modello energetico della Green Economy, come l’energia geotermica, l’energia solare e gli impianti al fotovoltaico, che potrebbero spingere ulteriormente le precarie e asfittiche economie africane a elaborare nuovi processi di Engine of growth e modelli di economia nazionale appetibili alla cabina di regia cinese.       Il fattore politico, riguarda in ultima analisi, il peso che i paesi africani esercitano in sede all’Organizzazione delle Nazioni Unite, per via di voti e preferenze, ed in questo caso un peso fondamentale è esercitato in chiave diplomatica e internazionale dal Sud Africa del Presidente Ciryl Ramaphosa, “vorremmo ridurre il deficit e modificare la struttura dei nostri scambi commerciali”, con queste frasi Ramaphosa, evidenzia l’importanza delle relazioni diplomatiche internazionali con il dragone cinese.                                                                                                                                       “Il sostegno politico cinese ai paesi africani, sta diventando sempre più importante” ha spiegato Ovigue Eguegu, analista politico nigeriano, “nel contesto delle crescenti tensioni con Washington, Pechino si è prefissata l’obbiettivo di diventare il paladino del sud del mondo”.                                Dal Fondo Monetario Internazionale, arrivano i primi risultati dei dati analitici: Entro il 2035, il valore dei rapporti di interscambio, saranno pari a 300 miliardi di dollari. L’Africa, si prepara all’industrializzazione green e con un assetto politico molto diverso da quello configurato e storicamente stabilito dei Paesi non Allineati.

 

 

 

                                                                                        

 

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