Il romanzo Le Ciavole delle Due Rocche (Lecce LE: youcanprint 2022) di Vincenzo Ruffino è retto da un messaggio adatto alla realtà di tutti i tempi, in particolare alla realtà dell’epoca attuale di globalizzazione e grandi cambiamenti, tali da rischiare, negli intendimenti, di offuscare l’identità culturale di luoghi e generazioni di millenni di umani, che quella identità in evoluzione hanno creato e in essa hanno vissuto e vivono, che in essa riconoscono il volto della loro personalità disegnato dalla tradizione e dal nuovo coerentemente accettato. Il romanzo di Vincenzo Ruffino si snoda tra i due poli opposti del desiderio del protagonista di fare carriera nel vasto mondo e la conservazione che caratterizza il suo paese natio, Corleone, poco disposto ad accogliere possibilità di sviluppi professionali che esulino dall’ossequio alla tradizione locale.
Il giovane e brillante protagonista è affascinato dalle prospettive che si aprono per il suo successo a Milano in seno a una grossissima società – ciò in cui sta un interessante riflesso biografico dell’Autore, dapprima responsabile, poi manager e dirigente di società di vertice per la Telefonia e le Telecomunicazioni.
Subito all’inizio del romanzo si trova come inviato ad Abu Dhabi negli Emirati Arabi per concordare la vendita di servizi nell’ambito di sua competenza.
Vincenzo Ruffino abbacina e letteralmente stordisce il lettore assalendolo con lo sfarzo del paesaggio naturale di Abu Dhabi e del Palazzo in cui ha luogo il ricchissimo ricevimento dei tecnici stranieri che affascina e quasi irretisce con atmosfere meravigliose come sono note già dalle fiabe delle Mille e una notte che paiono materializzarsi provenienti quasi per magia da un antico passato di tradizioni tipiche dell’identità culturale degli Emirati Arabi. Una serie di attacchi e tradimenti di amici che vogliono superare il protagonista e prendere il suo posto ai vertici degli scambi commerciali negli Emirati, ma anche in India, in Cina, nelle Americhe, nelle Filippine e altrove, diffonde una suspense costante che si rinnova alternando momenti di entusiastica fiducia e momenti di sospetti e rivelazioni di tradimenti di falsi amici, il tutto in una scenografia sempre più che ammaliante. Malgrado Nicola Tagliavia resista alle tentazioni sessuali che vengono poste in essere nei vari ambienti come mezzo di coinvolgimento, alla fine cade nella relazione di un giorno, anzi di una notte, con una bellissima donna dalla quale avrà una figlia di cui saprà quando ormai sarà ritornato a Corleone. Il paese natio, dopo l’esperienza di culture diverse ovunque nel mondo più diverso gli appare nella sua cristallizzazione di un tempo. Alcuni vecchi amici lo accolgono riportando al presente il passato che appare rimasto immobile.
Lasciando al lettore tutti gli interessanti dettagli della narrazione, la figlia di una notte viene a fare parte della famiglia di Nicola consistente della moglie e di una figlia in una versione di famiglia allargata che avviene nell’accoglienza di tutti, senza acredini per il cosiddetto tradimento dell’uomo. Riprendono i vecchi rapporti di un tempo, segnati dal quieto permanere delle tradizioni, dei riti di devozione ai santi del paese, degli usi e costumi. Nicola, spaesato tra passato, presente, vecchio e nuovo, si chiede a che cosa sia mai servito il suo aver voluto vedere il vasto mondo per poi ritornare nella stasi del vecchio Corleone. Ma quando la tristezza sta prendendo possesso di Nicola, tutto ciò viene preso in mano dalla giovane figlia che nel vecchio ambiente porta il suo entusiasmo giovanile nutrito dalla gioia di poter portare qualcosa del nuovo nel paese in una evoluzione rispettosa della bellezza del passato che la attrae profondamente, della natura e degli umani costumi, ossia senza cancellarli, ma facendo in modo che possano dare anche spazio al nuovo da essa rappresentato concretamente.
Un compito non facile, ma possibile a realizzarsi e di fatto, a realizzarlo, saranno nel romanzo proprio le donne, le figlie assieme alla madre ovviamente sostenute da Nicola nel nuovo modo di vedere la vita, conservatore di quanto di positivo offre il vecchio e rivolto anche al nuovo sguardo sulla vita. A questo era servito il suo viaggiare, non era stato inutile, era servito a poter portare il nuovo nel vecchio senza far scomparire il vecchio.
Così si conclude il corposo romanzo di Vincenzo Ruffino con il messaggio più positivo per il momento storico in atto, incentrato sulla figlia avuta nel vasto mondo e cresciuta anche molti anni in esso, Bea (229, 231): “(…) Senza la crosta che immobilizzava i nativi, libera da pregiudizi e da condizionamenti, con una forte personalità, lei sarebbe stata la donna nuova, la donna della nuova Corleone. La vedeva attorniata festosamente da ragazze della sua età che ascoltavano le sue storie di terre lontane e si infervoravano immaginando il loro futuro (…) Era stato giusto viaggiare e imparare, ora era giusto restituire alla sua città parte di quanto da essa aveva ricevuto (…)
E la sera con Laura, tutti assieme seduti sui gradini di santa Rosalia, a Piazza Soprana, godersi lo spettacolo del cielo ammantato di stelle con la colonna sonora dello sciabordio dell’acqua della fontana e il vociare animato della piazzetta stracolma di persone sedute al circolo. E, proveniente da non molto lontano, dalla Torre dei Saraceni del Castello Soprano sopra le Due Rocche, immaginare di sentire la tromba intonare ‘Ciliegie Rosa’, come da bambino nelle calde sere d’estate.’ (Da ‘Le Ciavole delle Due Rocche’ di Vincenzo Ruffino)
E le ciavole, di pirandelliana memoria riferita a Ciaula e la luna, tra i racconti più commoventi del grande siciliano, le ciaule, o chiacchiere come nel significato popolare del termine, rappresentano nei significati più profondi e suggestivi del romanzo Le Ciavole delle Due Rocche di Vincenzo Ruffino la concreta e simbolica cultura di un passato che resta nel presente come sua roccia a doppia mandata.
Rita Mascialino