Rita Mascialino

“Sono trascorsi cento anni da quando Franz Kafka, ebreo ceco di lingua e cultura tedesca nella colonia di Praga, lasciò la vita nella clinica a Kierling Vienna dove lo avevano accompagnato gli amici in una macchina scoperta con la neve e il vento che infuriavano.

Non poteva più parlare ormai data l’aggressività della malattia che aveva invaso anche laringe, faringe, esofago – morì di fame perché da tempo non poteva più mangiare –, ma con il suo forte carattere e la sua altrettanto forte umanità comunicava ugualmente con il suo mezzo preferito, ossia con la scrittura di biglietti – per altro lavorò ad un racconto anche sul letto di morte fino alla fine.

Può essere considerata, addirittura, una fortuna che Kafka sia morto prima che le rozze mani dei nazisti potessero avere il piacere di internarlo e di incenerirlo in uno dei loro forni crematori, così come invece poterono fare con le sue tre sorelle nei campi di concentramento polacchi: Elli e Valli a Chelmno, Ottla ad Auschwitz – Ottla aveva chiesto di poter accompagnare al Lager un gruppo di bambini per non lasciarli soli nel grande spavento, morendo con loro nel forno crematorio. Franz Kafka, negli anni, rifiutò il tedesco, la sua lingua madre dove, a giudizio di chi scrive, raggiunse apici espressivi che nessun altro tedesco mai aveva raggiunto e si può supporre difficilmente potrà raggiungere, estremo definitivo rifiuto dovuto al riconoscimento che tale lingua conteneva in sé il germe della violenza.

Per onorare Franz Kafka da parte mia, quale appassionata studiosa delle sue opere, dedico alla sua memoria, nel Primo Centenario della sua morte o del suo ingresso nella fama di vita eterna nella cultura umana (1924-2024),  la mia scoperta attuata sul piano squisitamente esegetico relativa alla sua straordinaria quanto criptica metamorfosi in cavallo nero (Mascialino 1996 e segg.), mai identificata prima in più di un secolo di pubblicazioni da parte della più autorevole critica mondiale, la quale ha invece pubblicato ovunque un’immagine che in Kafka non c’è: esiste solo nelle interpretazioni degli studiosi, come vedremo con qualche riferimento.

La metamorfosi eccezionale dal punto di vista letterario e della personalità di Kafka è espressa nel racconto breve “Der plötzliche Spaziergang” (1912), La passeggiata improvvisa.

Tutto si svolge sul piano di una serie continua di soli periodi ipotetici introdotti dalla congiunzione condizionale wenn, ‘se’: sintetizzando, se al protagonista fosse stato possibile abbandonare per sempre la famiglia, in cui era in generale disprezzato e non proprio ben visto e che lui stesso non apprezzava, avrebbe potuto realizzare pienamente la sua personalità, il suo straordinario talento di scrittore, magnificamente simboleggiato nella metamorfosi nel cavallo nero del racconto – o dell’esegesi innovativa (Mascialino 1996 e segg.).

Venendo direttamente in medias res, il sintagma che non è stato compreso da nessuno studioso è «(…) hinten die Schenkel schlagend» (in Max Brod, a cura di, 1935/1964), tradotto dalla critica con ‘battendosi dietro con  le mani le cosce’ e frasi cosiddette sinonimiche, come se Kafka, uscendo di casa dopo cena e lasciando di stucco la famiglia con questa insolita decisione, si fosse battuto le cosce o le natiche beffando offensivamente la famiglia, come a dire, eufemisticamente: ve la faccio in barba, vi mando tutti al diavolo. Azione impossibile a Kafka, che come eleganza mentale e fisica non temeva rivali.

E di fatto non si tratta di battersi le cosce con le mani, come nella Slapping-Image (Mascialino 2010), immagine del battersi, mentre l’immagine valida, corrispondente al testo di Kafka, è la Black-Horse-Image (Mascialino 2010), immagine del cavallo nero. L’equivoco ha natura espressamente sintattico-morfologica: la forma verbale schlagend è un participio presente, non un gerundio che in tedesco per altro non esiste come tale. Ossia: hinten die Schenkel schlagend non è un gerundio attivo e transitivo con soggetto il protagonista del racconto proiezione di Kafka e con complemento oggetto le cosce, come è stato interpretato piuttosto conformisticamente da tutti.

Ma a tagliare la testa al toro, se ce ne fosse bisogno e a parte altre considerazioni, c’è  l’avverbio hintendietro, nello stato in luogo, mentre per come è stato creduto nelle traduzioni esistenti si tratterebbe di un moto a luogo – battersi con  qualcosa, le mani nel caso, dietro, in tedesco è un moto a luogo delle mani verso il retro, ciò che in tedesco avrebbe voluto la preposizione di moto a luogo nach, ossia ci sarebbe dovuto essere nach hinten, preposizione che non c’è nel testo tedesco di Kafka e la cui mancanza è spia certa di un’azione di stato in luogo, non nella spazialità quindi di battersi dietro le cosce in un moto a luogo delle mani verso il retro come è stato sempre creduto di comprendere e interpretato. Proseguendo, schlagen  non è quindi nella diatesi transitiva, né in un gerundio con soggetto il protagonista e complemento oggetto die Schenkelle cosce, ma sta nella diatesi intransitiva con un diverso significato, spazialmente affine, ma non il medesimo ovviamente: grammaticalmente si tratta di un Nominativo Assoluto nella diatesi intransitiva di schlagen, che non può quindi avere il complemento oggetto essendo intransitivo nel contesto kafkiano, nominativo assoluto che ha come soggetto le cosce che sbattono – o scalciano trattandosi di un cavallo –, non un protagonista che si batta dietro nell’altro significato di schlagen transitivo.

Per chiarire ancora: il soggetto del sintagma in questione non è il protagonista, bensì sono le cosce – dietro – posteriori, che l’essere umano non ha, non essendo quadrupede. L’idea è dunque quella di un cavallo le cui cosce posteriori, dietro, scalcino – in uno stato in luogo, senza che il luogo diventi un altro in un moto a luogo – per alzarsi per così dire in piedi, in modo che l’animale possa ergersi in tutta la sua possente figura: simbolicamente, è il metaforico travestimento spettacoloso dell’inconscio kafkiano più profondo e creativo che avviene nell’oscurità più totale della notte, tenebroso come la notte stessa.

Ma non basta: la critica, giustamente, afferma che il protagonista decida a trasformazione avvenuta di andare a trovare un amico per vedere come stia. Tuttavia anche questa interpretazione si ferma ad un livello di mera superficie: sembra che il protagonista umano, ergendosi e divenendo della sua vera statura battendosi le cosce, vada a trovare un amico a notte fonda per vedere come stia. Invece, in base ai termini dalla polisemia criptica e sottile scelti da Kafka nel contesto simbolico, il protagonista, soggetto della metamorfosi in cavallo nero, è il vero ego di Kafka e l’amico a cui vuole far visita si rivela essere lo stesso Kafka, il Kafka narratore: è lui, l’umano protagonista Kafka, l’artefice dell’eccezionale metamorfosi in cavallo nero. In altri termini: secondo i vocaboli scelti da Kafka per l’immagine, e su cui qui non ci si può dilungare come si dovrebbe, il protagonista della passeggiata improvvisa, ormai trasformato in cavallo nero, va a far visita al se stesso umano per vedere come stia, perché chi si è trasformato nel cavallo nero è Kafka stesso, è lui in persona, che nel destriero si è proiettato e pienamente identificato.

Ma dove sarà mai finito, allora, il protagonista umano? Secondo le spazialità più sottili dei termini esso sta fin da principio del racconto nel suo luogo naturale, ossia nel libro, nel racconto che è la sua vera casa, non quella genitoriale che ha ipotizzato di poter abbandonare.

Questo detto molto molto in breve e sperando di essere stata comprensibile ai lettori – Kafka è autore profondo, criptico, al punto che in Germania talora non viene letto e analizzato nelle scuole in quanto ritenuto incomprensibile.

Ho voluto dedicare alla memoria di Franz Kafka per il suo Primo Centenario questa scoperta, pubblicata per la prima volta, come accennato, già nel 1996 e successivamente negli anni fino ad oggi in tante pubblicazioni da parte mia più ricche di ulteriori dettagli e spiegazioni, in quanto la metamorfosi descritta si contrappone all’altra grande metaforica trasformazione, quella in scarafaggio, avvenuta, si fa per dire, stando Kafka nella casa paterna, genitoriale, ed attuata con il verbo verwandeln, ossia Die Verwandlung, tradotto con ‘La metamorfosi’, verbo e sostantivo tedeschi che si adoperano quando la trasformazione avviene dall’esterno, agìta da agenti esterni, come ad esempio con la bacchetta magica e comunque in tutti i casi analoghi – di fatto Gregor all’inizio del racconto si trova trasformato in scarafaggio, ossia è stato trasformato da qualcuno in scarafaggio, nella fattispecie dal padre e non solo, ossia ancora:  non si è trasformato da sé in tale insetto ributtante.

Invece per la metamorfosi in cavallo nero Kafka adopera nel corso del racconto il sostantivo Veränderung da verändern, che, pur significando trasformazione o metamorfosi esso stesso, si riferisce a una trasformazione che avviene dall’interno, operata dall’individuo che si trasforma, non da agenti esterni a lui, e in questa trasformazione in cavallo nero sta tutta la grossa autostima di Kafka, il quale sapeva di essere uno scrittore potentemente creativo e profondo – se solo se ne fosse potuto andare definitivamente via dalla casa genitoriale dimenticandola per sempre. Ribadendo: Kafka sapeva chi era in verità.

Così, in onore ed eterna memoria di Franz Kafka non scarafaggio, ma straordinario cavallo nero uscito dal più creativo e potente nonché misterioso e inquietante inconscio, tinto di un poderoso eros come è intrinseco all’affascinante e vitalissimo animale in cui si è proiettato Kafka, valga la mia scoperta come il riconoscimento più vero – zu seiner wahren Gestalt, così si esprime Kafka nel racconto – della personalità di un genio letterario tra i più grandi di tutti i tempi.”

RITA MASCIALINO

http://Url del Video Youtube:   youtube.com/watch?v=yAuSOkXFB4

Dalla Rivista Culturale mensile OceanoNews, Anno X, Numero 06/giugno 2

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