Un viaggio tra mito e realtà. Dietro al serial killer, un uomo, un mostro, l’enigma e il viaggio nell’inconscio.

Dal Mondo – Messi di fronte ad un delitto, particolarmente se efferato, la nostra mente va in cerca di risposte. “Cosa si cela dietro gesti così estremi? Quali meccanismi psicologici spingono il killer alla commissione di tale reato?”

Apparentemente, scrutando negli abissi dell’animo umano, veniamo coinvolti in un labirinto oscuro, dove la ragione perde la bussola e qui, la Criminologia cerca di far luce sui misteri dietro i comportamenti criminali.

Immaginiamo di addentrarci nelle tenebrose ed intricate trame di una mente criminale, cosa troviamo? Dai disturbi della personalità che deformano la percezione della realtà annullando l’empatia, ai traumi infantili impressi come profonde cicatrici sulla pelle, circoli viziosi non di sola rabbia ma anche di risentimento.

Ma non finisce qui, c’è altro. La figura del criminale, del serial killer, esercita sulla psiche umana un fascino morboso e qui il ruolo dei media pronti a costruire un’immagine molto spesso distorta e romanticizzata del crimine, alimentando così la curiosità. Da quì l’analisi del crimine diventa un viaggio complesso e affascinante, che ci conduce al confronto con le nostre paure più profonde.

Alimentati da film e serie TV, l’immaginario collettivo presenta il serial killer quale figura mostruosa, estranea alla società, con una mente perturbata e una vita sociale inesistente, ma la realtà, è ben molto più sfumata e complessa. Molti assassini seriali presentano tratti psicopatici, come la mancanza di empatia, la manipolazione e l’impulsività ma non tutti i psicopatici diventano serial killer, e non tutti i serial killer sono psicopatici.

La psicopatia è un disturbo della personalità complesso e non è altresì sinonimo di “malattia mentale” nel senso tradizionale, infatti, chi è affetto da psicopatia può apparire normale e funzionante nella società.

Abbiamo poi l’infermità mentale, concetto legale più che medico, utilizzato per determinare la responsabilità penali di un individuo poiché non tutti i disturbi mentali escludono la capacità di intendere e volere, difatti, molti serial killer, pur presentando disturbi della personalità o altre problematiche, vengono ritenuti responsabili delle loro azioni.

Ciò che emerge è la grande diversità dei profili dei serial killer in quanto non esiste una categoria netta di assassino seriale. Alcuni vengono spinti da impulsi sessuali, altri da bisogno di potere e controllo, altri ancora da fantasie morbose, e poi vi è chi agisce in modo organizzato e pianificato, mentre altri, in modo impulsivo.

I serial killer prediligono aree ben definite, territori familiari, “palcoscenici” noti dove si sentono a proprio agio, aree facilmente raggiungibili, una mappa per agganciare la vittima dove al suo interno vi è la “base operativa”, un luogo tranquillo nel caos e nella paura che seminano, il posto dove si sentono sicuri.

Diversi poi si spostano continuamente da un luogo all’altro, un po’ come la vita condotta da un nomade, e questo facilita la commissione di omicidi in più luoghi, diverse località, tra l’altro, la possibilità di spostarsi da uno Stato all’altro rende difficile collegare i diversi omicidi.

Un esempio emblematico è Ted Bundy, errante e con una forte capacità di mimetizzarsi conquistando la fiducia delle sue vittime lo rendeva il predatore segnatamente pericoloso.

Scenari condivisi presentano i serial killer come individui quasi geni del male, capaci di manipolare e  sfuggire alla giustizia.

Sul caso di Jeffrey Dahmer quindi, possiamo affermare che è un genio fallito?

Mettiamo a confronto Jeffrey Dahmer, Gary Ridgway e Dennis Rader. Dahmer serial killer intelligente ma incapace di sfruttare appieno le proprie potenzialità nonostante il suo alto quoziente intellettivo, non è riuscito a costruire una vita stabile e soddisfacente, Ridgway, QI inferiore alla media, è riuscito ad eludere le indagini per anni, Rader, uomo intelligente, nel suo bisogno di riconoscimento, ha erroneamente inviato un floppy disk alla polizia.

Questo in dimostrazione che l’intelligenza non è sempre un prerequisito del serial killer di successo.

La “firma” poi, nei crimini commessi, prendendo il caso della Black Dahlia e il fiore nero lasciato come iconografia, permea l’idea che il killer senta il bisogno artistico di lasciare il segno distintivo che lo marchi indelebilmente differenziandolo da altri criminali, ma non tutti i serial killer lasciano “firme” così evidenti, anzi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la maggior parte pianifica i propri crimini con cura, cercando di evitare qualsiasi elemento che possa ricondurre a loro agendo nell’ombra, senza essere scoperti, l’anonimato per molti infatti, è spesso l’obiettivo primario.

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