di Francesco Antonio Schiraldi 

Quando l’impero romano si sfaldò sotto l’urto delle invasioni barbariche, la Sicilia nel volgere di pochi secoli cadde sotto l’influenza dell’Islam: Tunisi si trovava ad appena un giorno di viaggio, ma una invasione su larga scala avvenne solo nell’827. Lo scopo iniziale degli arabi era razziare cibo e danaro, prendere schiavi e saccheggiare le chiese. Essi presero d’assedio la capitale siciliana Siracusa e, nonostante la conquista fallisse, i profitti degli invasori furono notevoli. Nell’831 venne conquistata la seconda città dell’isola, Palermo, poi, impadronitisi di Messina, i saraceni poterono controllare lo Stretto.

Una volta insediati ed evoluti i loro obiettivi, i nuovi padroni della Sicilia furono alquanto accomodanti: alcune città rimasero praticamente indipendenti, le istituzioni locali furono spesso conservate e in generale i cristiani poterono vivere secondo le proprie leggi, praticando la loro religione con minime limitazioni. Non si può parlare perciò di una persecuzione religiosa, tanto più che non era incoraggiata la conversione all’Islam specie perché i non convertiti pagavano più imposte. Ciò che contribuì a conciliare la popolazione sottomessa, soprattutto, fu una illuminata politica economica.

Le tasse non erano esose, forse perché ripartite e riscosse in modo più efficiente, fu abolita l’imposta sugli animali da tiro che era un ostacolo per l’agricoltura, sostituita da un’imposta sulla terra che rendeva svantaggioso lasciare i fondi improduttivi. Ebbe slancio anche il commercio, la Sicilia tornò in posizione centrale all’interno di un immenso impero economico che andava dalla Spagna alla Siria. Palermo, capitale araba, si trasformò in una città cosmopolita con una popolazione di greci, ebrei, slavi, berberi e persiani, avviata a diventare una delle grandi città del mondo.

Nell’isola venne implementato  un eccellente sistema di irrigazione, i musulmani avevano appreso nel deserto l’importanza vitale dell’acqua, inoltre introdussero dalla Persia particolari tecniche idrauliche e trassero profitto dai resti di opere idriche romane nel Nord Africa. In Sicilia furono impiantati limoni e aranci amari, si apprese a coltivare la canna da zucchero e a spremerla, furono introdotti i primi semi di cotone, i primi gelsi e bachi da seta come pure la palma da dattero, il pistacchio, i meloni e il sommacco per conciare e tingere. Con l’agricoltura coesisteva una fiorente industria della pesca, proprio in questo periodo fu adottata per la pesca del tonno la complessa tecnica della ‘tonnara’, in uso fino ai nostri tempi: tutto questo portò d una sostanziale trasformazione dell’economia.

E’ difficile misurare il contributo offerto dai musulmani alle vicende della Sicilia, la loro occupazione durò più di due secoli, pur continuando a rivestire posizioni elevate a Palermo sotto i sovrani cristiani. Gli arabi portarono con sé religione, leggi, letteratura, arte e scienze, fecero della Sicilia il punto d’incontro tra le culture araba, latina e dell’Europa orientale. Come i greci nell’antichità, arrivarono per stabilirsi non solo per opprimere e sfruttare, il loro numero in Sicilia si può valutare in mezzo milione di coloni.

Come lingua ufficiale l’arabo durò per oltre un secolo dopo l’arrivo dei normanni, molti residui linguistici possono osservarsi ancora adesso. Nella denominazioni di città siciliane Gibel e Calta sono termini arabi comuni, la latina Lilibaeum fu trasformata in Marsala, ossia il porto di Allah o di Alì da Marsa Allāh o Marsa ‘Alī. Ancora oggi si rinvengono centinaia di parole ed espressioni arabe nel linguaggio corrente siciliano: fu l’invasione normanna, intorno all’undicesimo secolo, a riportare definitivamente i siciliani nell’orbita europea

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