di Yuleisy Cruz Lezcano

Le indagini sessiste, che riguardano in particolare le donne, sono spesso alla base di narrazioni errate e di pregiudizi che hanno influenzato la letteratura, l’arte e le leggi. Tuttavia, la letteratura contemporanea e l’arte, specialmente le mostre di denuncia, stanno giocando un ruolo cruciale nel rivelare e combattere la violenza di genere, dimostrando come la cultura possa essere un potente strumento di cambiamento. La poesia poi, in questi ultimi anni ha cercato di dare voce a chi è stato abusato, invitando i lettori a una riflessione più ampia sul concetto di giustizia. La poesia offre una visione della violenza di genere che entra nella carne delle parole, e seppure mette in evidenza il trauma e il dolore, suggerisce anche che il vero recupero delle donne passa attraverso l’affermazione della propria identità e del proprio diritto a una vita senza violenza.

Storicamente, la violenza di genere è stata spesso minimizzata, ignorata o giustificata da narrazioni che consideravano la donna come inferiore o meritevole di violenza. In molti casi, le indagini su crimini sessuali e violenze domestiche sono state influenzate da visioni sessiste, dove le vittime erano considerate, implicitamente o esplicitamente, responsabili del crimine a causa del loro comportamento, del loro abbigliamento o di altri fattori relativi alla loro “morale”.

Questa mentalità ha avuto un impatto significativo sulla letteratura, dove molte opere, anche nel panorama classico e moderno, hanno perpetuato stereotipi dannosi. Autori, scrittori e giornalisti hanno spesso trattato la violenza sessuale e la violenza domestica come atti giustificabili, minimizzandone la gravità e relegandola a un contesto privato.

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Tra gli esempi celebri di romanzi «Lolita» di Vladimir Nabokov, pubblicato nel 1955, dove l’abuso sessuale viene in parte giustificato dal punto di vista del protagonista. Un altro esempio è il romanzo «La storia» di Elsa Morante (1974), la violenza sessuale è una parte fondamentale della trama, trattata in modo che sfida le convenzioni morali e sociali. La protagonista, Ida Ramundo, subisce un abuso sessuale da parte di un soldato tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale. Sebbene l’autrice faccia emergere il trauma psicologico e fisico della violenza, la narrazione assume una dimensione che può far apparire l’atto come parte di un contesto inevitabile, connesso alla guerra e alle atrocità del conflitto. Un altro esempio che può essere letto come una minimizzazione della violenza sessuale, seppur in modo più indiretto, è «La verità sul caso Harry Quebert» di Joël Dicker (2008). Il romanzo racconta la storia di un famoso scrittore accusato dell’omicidio di una giovane ragazza, Nola Kellergan. Sebbene il caso ruoti attorno a un omicidio, la trama include anche la relazione che Harry Quebert aveva con Nola, quando lei era una minorenne. La relazione è caratterizzata da una dinamica di potere, in cui l’adulto approfitta della sua posizione per intraprendere un rapporto con una ragazza molto più giovane. Tuttavia, negli ultimi decenni, una crescente attenzione alla questione femminile e alla violenza di genere ha portato alla nascita di opere letterarie che non solo denunciano questi crimini, ma pongono anche interrogativi sulle dinamiche di potere che li alimentano.

Autrici contemporanee come Chimamanda Ngozi Adichie, Margaret Atwood ed Elena Ferrante, per esempio, offrono una lettura più critica delle relazioni di genere e dei loro risvolti violenti, dando voce alle esperienze di donne vittime di abusi. Queste scrittrici sfidano le convenzioni narrative tradizionali e incoraggiano una riflessione sul ruolo della letteratura nel plasmare la percezione pubblica della violenza di genere.

Chimamanda Ngozi Adichie, una delle voci più potenti della letteratura contemporanea, affronta nei suoi romanzi le complesse dinamiche di potere, sessismo e violenza che permeano la società nigeriana, ma anche quelle globali. In opere come «Metà di un Sole Giallo» e «Americanah», Adichie esplora temi legati alle relazioni di genere, alla lotta per l’indipendenza femminile e al peso del passato coloniale che incide sulle esperienze quotidiane delle donne.

Nel suo romanzo «Me Not You», che esplora il concetto di “amore” tra donne, ma anche le differenze razziali, Adichie affronta direttamente il tema della violenza sessuale, in particolare come le donne si trovano a confrontarsi con una cultura che tende a giustificare e minimizzare l’abuso, soprattutto in contesti sociali e familiari. Le sue protagoniste non sono solo vittime passive, ma donne che, pur nella sofferenza, cercano di ridefinire sè stesse e di trovare il loro posto nel mondo.

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Margaret Atwood, autrice di opere come «Il Racconto dell’Ancella» («The Handmaid’s Tale») e «Alias Grace», ha esplorato i temi della violenza di genere, dell’oppressione e delle dinamiche di potere con una lucidità e una profondità che l’hanno resa una delle scrittrici più influenti del nostro tempo. La sua scrittura mette a nudo le strutture patriarcali che permeano le società, rivelando come queste leggi e norme possano portare alla sistematica violazione dei diritti delle donne.

Nel suo celebre romanzo «Il Racconto dell’Ancella», Atwood descrive un futuro distopico in cui le donne sono ridotte a meri strumenti di riproduzione, vittime di un sistema che giustifica la violenza, l’abuso e la sottomissione. Sebbene la trama sia immaginaria, la critica alla violenza sistematica e alla negazione della libertà delle donne è potente e risuona con le difficoltà contemporanee. Atwood utilizza il tema della violenza come una lente per analizzare le dinamiche di potere, la lotta per la libertà e il recupero della dignità femminile.

Così come la letteratura, anche l’arte contemporanea ha sviluppato modalità espressive che vanno ben oltre la tradizionale rappresentazione estetica della bellezza. Negli ultimi anni, in particolare, l’arte visiva e i manoscritti contemporanei sono diventati veicoli di denuncia per la violenza di genere. Artisti e scrittori contemporanei utilizzano il corpo, il linguaggio e le immagini per raccontare la sofferenza e le ingiustizie subite dalle donne, con un focus particolare sulle dinamiche di abuso e oppressione che sono spesso silenziose e invisibili.

Le mostre di arte contemporanea dedicate alla violenza di genere si sono fatte sempre più numerose e significative, mettendo in evidenza temi come lo stupro, il femminicidio, la discriminazione e l’emarginazione delle donne. Una di queste mostre, ad esempio, si è tenuta a Siena e ha avuto un impatto particolarmente forte sulla comunità locale. Il titolo della mostra, “Gli Indumenti non sono la causa della violenza” è stata davvero una mostra che mi ha colpito nell’intimo, perché stata capace di sfatare il mito pericoloso che giustifica la violenza sulle donne in base al loro abbigliamento, tentando di smontare il pregiudizio che responsabilizza la vittima piuttosto che l’aggressore.

La mostra ha esposto indumenti appartenenti a vittime di violenza, creando un dialogo diretto tra il pubblico e le esperienze vissute dalle donne. Gli abiti assolutamente non demonizzanti, per niente sensuali, sono stati una chiave di lettura fondamentale per denunciare la retorica sessista che si insinua nelle indagini e nelle percezioni sociali: il modo in cui le vittime sono talvolta accusate di essere “provocatorie” o “meritanti” della violenza a causa di ciò che indossano. Esporre perfino tute, divise da lavoro e quanto altro in un contesto artistico ha permesso di spostare l’attenzione dal corpo femminile come oggetto di desiderio o giudizio, verso un racconto di dignità e resistenza.

L’arte contemporanea, attraverso mostre come quella di Siena e la creazione di manoscritti d’impatto, ha la capacità di sfidare gli stereotipi e di promuovere un dialogo più onesto e rispettoso sulla violenza di genere. Allo stesso modo, le leggi come il Codice Rosso rappresentano una risposta istituzionale importante, ma devono essere costantemente monitorate e arricchite da un impegno continuo nella lotta alla violenza, un impegno che deve essere supportato anche dalla forza del pensiero critico e artistico.

Il Codice Rosso: leggi, arte e modifiche giuridiche per proteggere le donne

In Italia, la legge che ha introdotto il Codice Rosso nel 2019 ha rappresentato un passo fondamentale nella lotta contro la violenza di genere. Questo codice ha previsto un intervento più tempestivo e diretto delle forze dell’ordine nei casi di violenza domestica e di stalking, stabilendo che le denunce per questi crimini vengano trattate con priorità assoluta. L’idea alla base di questa legge è che la violenza di genere non può essere trattata come una questione privata, ma deve essere affrontata pubblicamente e con urgenza, proteggendo le vittime e perseguendo gli aggressori.

Tuttavia, nonostante il Codice Rosso rappresenti un passo avanti significativo, rimangono delle criticità legate alla sua applicazione pratica, spesso ostacolata dalla persistenza di stereotipi sessisti nelle indagini e nelle istituzioni. È qui che l’arte può giocare un ruolo cruciale, stimolando la riflessione collettiva e sensibilizzando le istituzioni e la società su come il sistema giuridico può essere reso ancora più efficace per le donne. Le mostre, i libri e le performance artistiche, infatti, possono contribuire a smontare le idee preconcette che influenzano il trattamento delle vittime di violenza, rendendo visibili le ingiustizie e promuovendo un cambiamento culturale che si riflette anche nelle leggi.

L’arte, quindi, può essere vista non solo come un mezzo di espressione, ma come un potente strumento di cambiamento sociale e giuridico. La sensibilizzazione attraverso l’arte può orientare le politiche pubbliche, ispirare riforme legali più efficaci e stimolare un cambiamento di mentalità nei confronti delle donne, nella convinzione che la cultura sia essenziale per prevenire e contrastare la violenza.

Nel mio ultimo libro «Di un’altra voce sarà la paura», ho cercato anche di indagare i contesti distopici e simbolici in cui si sviluppano la violenza. Tra le righe si può cogliere la critica alla sottomissione delle donne e la denuncia della violenza di genere che caratterizzano le società patriarcali. In diversi passaggi poetici suggerisco anche la possibilità di ricostruire una nuova immagine di sé, di raccogliere i pesi frammentati e recuperare la propria dignità. Nonostante la violenza sistematica, con le storie poetiche raccontate, credo di essere riuscita a costruire forme di solidarietà e resistenza, a creare speranza.

In alcune interviste mi è stato poi chiesto cosa penso sulla possibilità di perdonare. Il perdono è un tema che all’interno del mio libro viene trattato in modo diretto. La violenza di genere, soprattutto quando è ripetuta o sistematica, lascia cicatrici psicologiche che non si cancellano facilmente, quindi dentro i miei versi mi sono chiusa alla possibilità di perdono, ma nonostante questo ho cercato di invitare le vittime a non colpevolizzarsi e a comprendere che non debbono perdonare loro stesse, perché loro sono le vittime.

La cicatrice della violenza credo possa essere sia un’ombra persistente ma anche un’opportunità di crescita e comprensione, ma il perdono non è catalogabile né in un atto di forza, nemmeno di debolezza. Il tema del perdono è ambivalente e non facilmente risolvibile, soprattutto per le vittime di violenza di genere. Mentre alcuni testi suggeriscono la possibilità di una liberazione emotiva attraverso il perdono, altri mettono in evidenza che il perdono non deve mai essere imposto o visto come un obbligo sociale, ma penso debba essere una scelta individuale.

Per quello che mi riguarda, non sono capace di parlare di “perdono” come soluzione alla sofferenza, ma invito piuttosto a riflettere sulla possibilità di guarire, una guarigione che passa attraverso la riconquista dell’identità, la solidarietà tra donne, e la lotta contro un sistema che permette la perpetuazione della violenza.