Il lungo corteo storico si era appena avviato dalla piazza del Brandale e aveva imboccato via Pia.
La gente si faceva da parte per lasciar passare i figuranti e osservare dame e cavalieri che riportavano in vita un periodo in cui Savona era stata chiamata pomposamente libero Comune.
-Preziosa, tieni bene la mano sopra la mia. Dobbiamo mostrarci orgogliosi dei nostri palazzi, dell’arte e della cultura dei nostri antenati.
-Sì, sì, di cosa hai paura? Che i tuoi concittadini ti rimproverino di non aver impersonato abbastanza realisticamente il nobile di cui porti la veste?
-Non ho paura di nulla ma sono fiero di essere savonese e di rievocare la storia della mia città.
-Già. Ti occupi di un passato che non puoi cambiare ma non ti interessa affatto la nostra vita di oggi.
– Certo che mi interessa. Ma ora siamo qui, tutti ci guardano e non dobbiamo fare brutta figura.
-Ti preme solo dell’opinione degli altri. E della mia? Ti sei mai chiesto se io ho ancora voglia di partecipare a questa carnevalata?
-Sorridi, Preziosa. Sembra che stiamo litigando! Vuoi farti vedere da tutti?
-E se anche fosse? A chi importa di sapere se sono infelice o no?
-Va bene. Se non vuoi più intervenire a queste manifestazioni, non verremo più. Sarà un vero peccato perché la veste medioevale rossa con il corpino attillato ti sta davvero bene. Sei una signora altera e sprezzante, abituata ad avere tutti i cavalieri ai tuoi piedi che si farebbero uccidere per un tuo sguardo. Poverini, non sanno che il tuo cuore è solo mio.
-Come fai a esserne sicuro?
-Ti conosco meglio di quanto tu conosca te stessa. Noi siamo uniti per sempre, non devi dimenticarlo, al di là di ogni circostanza. Al di là del tempo e dello spazio. Nessuno riuscirà mai a dividerci. –
Dopo via Pia, si procedeva in via Paleocapa, la strada più ampia della città.
Umberto avanzava superbamente con quel sorriso appena accennato che immaginava essere quello che i nobili dispensavano al popolino nelle occasioni pubbliche.
Preziosa, invece, era annoiata dalle sfilate e persino dalla vita coniugale. Tutto le sembrava solo consuetudine e quotidianità, niente altro.
Dopo aver percorso Via Paleocapa, Corso Italia, Piazza Sisto IV, infine, i figuranti erano tornati nel complesso del Brandale dove, nella Sala degli Stemmi, avrebbero lasciato i loro costumi e si sarebbero rivestiti dei loro abiti contemporanei.
Preziosa aveva aperto la porta della stanza al secondo piano della Torre e si era trovata proprio davanti alla grande finestra la testa di un gigantesco Serpente verde brillante la cui coda appoggiava addirittura a terra sulla via.
Il respiro le si era strozzato in gola e non aveva fatto in tempo neppure a girarsi verso Umberto che si era sentita attrarre da quel mostro e addirittura si era trovata seduta su una squama. Da un’altra squama mastodontica pendevano delle redini simili a quelle dei cavalli. Si era aggrappata disperatamente e subito, oscillando, quella creatura orribile aveva preso ad alzarsi da terra sopra le case della via.
La Torre del Brandale si stava allontanando e con essa Umberto. Forse lui si era accorto che lei non c’era più, forse avrebbe chiesto aiuto. Ma a chi?
Il Serpente si stava librando sempre più in alto e lei poteva scorgere, girando appena la testa e lo sguardo verso il basso, i tetti delle case, il porto, la Torretta…
Se fosse caduta, si sarebbe schiantata al suolo ma continuando a rimanere là sopra che destino avrebbe avuto? Sarebbe stata condotta in qualche altro luogo per essere divorata.
Certo, era così.
Intanto, il paesaggio cittadino era scomparso e sotto di sé intravedeva solo nuvole.
Le lacrime scorrevano a fiumi lungo le sue guance mentre si domandava in silenzio cosa mai avesse fatto di male per dover soffrire così tanto!
Se alzava gli occhi, coglieva solo azzurro e l’imponente testa triangolare del Serpentone con la lingua biforcuta che entrava e usciva da quella bocca enorme. Se si voltava poco poco verso il basso, ormai poteva distinguere unicamente azzurro e qualche nube oltre al ciclopico corpaccione di quell’animale a scaglie che non sapeva neppure come definire. Un dinosauro, forse?
Così frastornata e terrorizzata trovava nei suoi pensieri solo disperazione.
Ma no! Non c’era da temere perché in realtà stava dormendo e sicuramente tra poco si sarebbe svegliata dall’incubo e avrebbe trovato nel letto Umberto, il suo Umberto.
Invece, disgraziatamente, il viaggio stava continuando.
Allora, forse, avrebbe potuto parlare al gigante verde, chiedergli dove la stesse portando e perché.
-Senta, signor Serpente, mi ascolta?
-Ti ascolto. – La bestia le aveva risposto! Dunque, non era un animale normale.
-Perché mi ha rapita e dove stiamo andando?
-Presto lo saprai.
-Perché ha preso proprio me?
-Ci sono ragioni che vengono da altri tempi e che l’essere umano non ricorda più.
-Solo io ho queste ragioni?
-Può darsi. Dovrai risolvere i tuoi conflitti.
-Va bene. Ma lei, signor Serpente ha portato via solo me da Savona. Nessun altro in città ha dei problemi da risolvere?
-Certamente, tutti hanno qualcosa da chiarire dentro di sé ma è venuta una chiamata per te da un altro mondo. Qualcuno ti vuole. Io sono solo un mezzo di locomozione, non so altro. –
Un mezzo di locomozione! Un mostro che volava nello spazio chissà dove! Forse, era stata punita perché si lamentava sempre della routine?
-Signor Serpente, se lei mi riporta a casa, dimenticherò tutte le mie angosce e sarò sempre felice. Glielo prometto.
-Non è così semplice. Ma non temere, tra poco saremo arrivati.
-Dove? A Savona? Mi riporta a casa?
-Vedrai tu stessa dove arriveremo. Io ti lascerò e tu farai il tuo percorso. –
Preziosa piangeva ancora di più. Che mai aveva fatto di tanto terribile per meritare quel trattamento?
E Umberto, cosa avrebbe pensato Umberto? Non avrebbe mai potuto immaginare che lei era stata ghermita dalla finestra da un Serpente lungo quanto era alta la Torre del Brandale! Avrebbe creduto che lei fosse fuggita per non vederlo più!
Mai come ora aveva sentito la sua mancanza, la sicurezza dei suoi abbracci, la dolcezza dei suoi occhi, la forza con cui la riparava da ogni dolore.
Si pentiva di essersi lamentata infinite volte di qualsiasi sciocchezza ma non le sembrava che fosse un delitto così grave, era un po’ il suo carattere e basta.
-Signor Serpente, mi riporti a casa, giuro che sarò sempre serena e felice. Mi riporti, la prego, chissà cosa starà pensando mio marito Umberto! Io non voglio lasciarlo, voglio tornare da lui.
-Ormai è tardi. Siamo quasi arrivati. Siamo a più di 6000 chilometri da casa tua.
-Cosa vuol dire?
-Vuol dire che il paese dove stiamo per atterrare è lontano circa 6000 chilometri da Savona.
-Paese? Atterrare? Quanto tempo è passato da quando siamo partiti?
-Il tempo è una categoria degli umani. Per noi è stato sospeso. –
Preziosa era abbattuta. Cosa le stava succedendo?
Sotto di sé cominciava a percepire qualche striatura bianca di nuvole ma il cielo era in gran parte limpido e azzurro.
Ancora più sotto, le sembrava invece di adocchiare uno scenario tutto giallo… Ora distingueva meglio: sembrava un deserto. Dove si trovava?
Il grande Serpente era planato sulla sabbia e si era abbassato in modo che lei potesse scendere agilmente. In un attimo, poi, aveva ripreso il volo ed era sparito.
La sabbia si stendeva fino all’orizzonte, non c’era niente altro e faceva molto caldo. Preziosa aveva ancora addosso il costume medioevale con le maniche larghe e lunghe che le teneva molto caldo e in testa non aveva nulla per coprirsi se non una ghirlanda di fiori.
Ormai, comunque, aveva smesso di piangere perché aveva capito che fosse del tutto inutile. Le era chiaro, invece, che avrebbe affrontato la prova.
Appena aveva epresso mentalmente quell’intenzione, un cammello o dromedario, non si ricordava più chi avesse due gobbe, le era apparso vicino e si era chinato per permetterle di salire in groppa dove si trovava una larga sella, un cappello e un paio di occhiali scuri.
Appena lei si era sistemata, la bestia si era rialzata e si era avviata con la sua andatura oscillante.
Il cammello, ora ricordava chi avesse due gobbe, avanzava nella sabbia che sembrava estendersi fino all’orizzonte. Il caldo era torrido e Preziosa aveva molta sete. Per la stanchezza, aiutata dal dondolio dell’animale, era caduta assopita e si era appoggiata sul morbido tappeto che ricopriva la sella.
Quando aveva riaperto gli occhi, davanti a lei era apparso un giardino florido di erbe e fiori, dove scorreva un ruscelletto di acqua cristallina. “Sarà un sogno, purtroppo, o un miraggio.” aveva ipotizzato. L’animale si era abbassato come prima e lei era scesa a terra. Le erbe profumavano intensamente e, poco più avanti, una cascatella formava un piccolo laghetto trasparente. Sulle rive del laghetto c’era un paravento di foglie a cui era appesa una tunica chiara.
-C’è qualcuno? – aveva domandato ma non aveva ricevuto risposta.
L’abito medioevale di tessuto pesante non era certo adatto per un’oasi, così si era infilata dietro il paravento e aveva velocemente indossato la tunica. Con quella era entrata nel laghetto per lavarsi e rinfrescarsi e aveva poi bevuto l’acqua cristallina della cascatella.
Si era sentita rinfrancata anche se in un angolo del suo cervello bruciavano tante domande: dove mi trovo, cosa farò, come farò a tornare tra gli esseri umani, come potrò tornare a casa, che starà pensando Umberto. A quell’ultimo interrogativo era scesa anche una lacrimuccia ma Preziosa era ben consapevole ormai che piangere non risolvesse nulla.
Dietro il paravento c’era ora anche un magnifico completo azzurro con ricami in oro. Guardandosi un po’ intorno e non vedendo nessuno, aveva infilato il corpetto, la gonna larga e lunga fino ai piedi e si era ricoperta il capo con il velo trasparente dal bordo preziosamente ricamato.
A quel punto, aveva scorto un calesse tirato da un cavallo bianco con i finimenti che sembravano d’oro. Si era sistemata sui cuscini e l’animale era partito al trotto.
Non era stato un viaggio lungo perché, oltre il deserto, era apparsa ben presto una città animata di persone e animali da trasporto e, infine, un imponente palazzo di colore aranciato dalle centinaia di piccole finestre.
Il calesse si era fermato là davanti e diverse fanciulle si erano precipitate ad accoglierla per accompagnarla all’interno della costruzione.
Un appartamento era già pronto per lei. In una delle camere stupendamente lussuose si trovava anche un vastissimo armadio zeppo di vestiti e accessori. Doveva solo scegliere.
“Forse, dovrò incontrare un personaggio importante. -rifletteva Preziosa osservando tutta quella ricchezza – Allora potrò spiegare che sono qui per errore, che non sono una principessa ma una semplice casalinga sposata con un geometra appassionato di storia del nostro paese. Non so come abbia fatto ad arrivare fin qui e non so neppure dove mi trovi, ma forse qualcuno me lo dirà.”
Abbigliata con un sari di seta rossa con ricami in oro che metteva in evidenza la sua bellezza, era stata accompagnata in una stanza che lei avrebbe definito sala del trono.
Là sedeva un uomo giovane dai grandi occhi neri. Indossava un completo chiaro e un cappello che non erano di foggia occidentale.
-Vieni avanti. Ti aspettavo. – l’aveva accolta.
-No, sire, voi sbagliate, non aspettavate me. Io sono una donna qualsiasi, non sono una principessa.
-So tutto di te, Preziosa. So cosa ti piace mangiare, so in quali vie della tua città usi passeggiare, so quali libri leggi, che programmi guardi alla televisione, come si chiamano le tue amiche e molto altro.
-Come fate a saperlo? Forse, vi confondete con un’altra.
-Tuo marito si chiama Umberto, la tua amica del cuore è Anna, frequenti una palestra di fitness in via Paleocapa e il tuo colore preferito è il blu. Posso continuare, se vuoi.-
In quel momento, Preziosa si era resa conto che lui stesse parlando la sua lingua.
-Ma voi parlate italiano?!
-Sì, ho imparato l’italiano per te.
-Perchè mi avete fatto rapire e portare qui? Dove siamo esattamente?
-Perché ti voglio qui con me. Sarai la mia Maharani. E questo è ciò che voi chiamate Oriente.
-Come fate a sapere tutte queste cose su di me?
-Tu hai un gatto che hai chiamato Oz.
-Sì.
-Lui è stato in contatto con la nostra Tigeress.
-Chi è?
-Vieni qui vicino alla porta che dà sul giardino. Ecco là Tigeress.
-Ma è una tigre!
-Sì, è la nostra tigre di casa.
-Non avete paura?
-No, al contrario ci protegge e ci difende.
-E il mio gatto cosa c’entra?
-I gatti possono mettersi in contatto con altre forze della natura. Così ha parlato di te, io ti ho vista attraverso i suoi occhi e ho deciso di averti.
-Non avete pensato che io avrei potuto non essere d’accordo? Io voglio tornare a casa.
-Ti lascerò del tempo per cambiare idea. Vivrai qui e avrai tutto quello che vuoi. Abiti, gioielli, servi, ogni tuo desiderio sarà esaudito. Alla fine di questo periodo, deciderai liberamente se tornare alla tua vecchia vita o rimanere qui ed essere la mia sposa. –
A quelle parole, il Maharaja si era alzato in piedi: la sua giacca bianca damascata, il copricapo rosso adornato di gioielli lo rendevano straordinariamente affascinante. Era bello, con la pelle abbronzata, gli occhi profondi, la bocca carnosa.
Preziosa era stata quindi riaccompagnata nel suo appartamento.
Nei giorni seguenti, per passare il tempo, usciva a passeggiare nel grande giardino che si trovava sul retro del palazzo. I sentieri si alternavano ai cespugli di erbe verdi e di fiori colorati grandi e piccoli, bianchi, rosa, rossi, arancio. Ne aspirava il profumo, poi si sedeva su una panchina di ferro battuto ricoperta di morbidi cuscini. Mentre gli uccelli di ogni colore cantavano sui rami degli alberi, ogni tanto la tigre affettuosa sbucava fuori da un groviglio di arbusti e molte piccole scimmiette le saltellavano intorno.
All’ora dei pasti, la sua cameriera personale la pettinava e la vestiva elegantemente e poi veniva accompagnata in un salone dalle pareti dipinte raffiguranti scene di caccia tradizionale. In quelle occasioni, il Maharaja si sedeva vicino a lei e, qualche volta, le prendeva la mano fissandola negli occhi.
A notte, infine, nella stanza da letto, prima di coricarsi, Preziosa curiosava da una delle finestrelle che aveva visto sulla facciata del palazzo quando era arrivata, la vita che ferveva ancora in città: i risciò, le auto, i carretti, persino i cammelli che transitavano con il loro carico di persone e di merci.
-Vorrei uscire. – aveva chiesto una sera.
-Certo. Ti accompagno in un luogo che appartiene alla mia famiglia e che ti piacerà. –
Il Maharaja era salito insieme a lei su un calesse dal tettuccio di argento cesellato a mano.
Muovendosi velocemente sulle strade, mentre tutti si prostravano al loro passaggio, poco dopo erano giunti in vista di un laghetto dalle acque immobili. La luce della luna emetteva riflessi aranciati su quella superficie mentre la meraviglia di un grande palazzo di marmo emergeva dalle acque.
-Questo è Jal Mahal, il Palazzo dell’acqua, che appartiene da sempre alla mia famiglia. Noi vediamo solo il piano superiore perché gli altri quattro sono sommersi. Vieni, una barca ci porterà a visitarlo. –
La shikara, rivestita con morbidi cuscini ricamati e ricoperta da fiori colorati addobbati in modo da formare un tettuccio, scivolava dolcemente verso la terrazza della costruzione. Là si poteva passeggiare tra i viali ordinati di piante fiorite alla luce delle fiaccole e delle stelle.
Ravi Singh camminava in silenzio vicino a lei e con un tocco leggero a tratti le stringeva la mano.
Preziosa non aveva mai visto un luogo tanto ammaliante e, dopo quella sera, vi era tornata da sola più volte per riflettere.
Ravi le stava lasciando del tempo per assaporare la nuova vita, era gentile e poco assillante. Un giorno, probabilmente vicino, le avrebbe chiesto cosa avesse deciso e se desiderasse quell’universo seducente da principessa, sposa di un giovane ricco e bellissimo in un paese incantato dove tutto sembrava possibile.
Lei non aveva dimenticato Umberto e la realtà forse comune che condividevano insieme. “Noi siamo uniti per sempre, al di là di ogni circostanza. Al di là del tempo e dello spazio. Nessuno riuscirà mai a dividerci.” le aveva ripetuto lui proprio quel giorno in cui poi lei era stata sequestrata.
Anche Preziosa aveva compreso ormai quanto fosse profonda la loro unione ma non era sicura, come Umberto, che nessuno avrebbe potuto mai dividerli. Infatti, come sarebbe riuscita a fuggire da quella prigione?
-Forse, è giunta l’ora di tornare a casa mia. – aveva azzardato un giorno a pranzo.
-Non credo che tu desideri veramente riprendere un’esistenza miserabile come quella che vivevi. Quando sarai la mia sposa, governeremo insieme questo paese, viaggeremo nei luoghi più belli del mondo, ogni tuo desiderio sarà un ordine per me e per il mio popolo.
-Se, invece, io desiderassi andare via?
-Non te lo permetterei mai. Tu sei destinata a me. Non ho fretta e ti lascerò il tempo necessario ma dovrai amarmi ed essere felice insieme a me. –
Preziosa si era ritirata nel suo appartamento perché aveva capito dal tono che non fosse prudente insistere. Era stata strappata al suo ambiente e ora era schiava perciò doveva trovare un modo per evadere da quella detenzione seppur dorata. Sicuramente il bel principe non l’avrebbe mai lasciata libera.
Popolavano il giardino del suo appartamento molte scimmiette grigie che il principe chiamava entelli.
Spesso ne carezzava qualcuna perché erano molto simpatiche ed espansive.
Una mattina, mentre, seduta su una panchina, cercava di immaginare una via di fuga senza trovare alcuna soluzione, una di loro si era accomodata accanto a lei sui cuscini ricamati in oro zecchino.
-Ciao. Sono Enty, ho sentito che vorresti rientrare a casa da tuo marito.
-Sì, ma non so proprio come fare. Un Serpente gigantesco mi ha ghermita e mi ha condotta qui. Forse, potrebbe riaccompagnarmi a casa.
-Il Serpente non ti riporterà mai indietro perché è dominato dal Maharaja.
-Lo so. Ma speravo, chissà, che qualcuno mi aiutasse.
-Noi scimmiette siamo devote al dio Hanuman, un uomo scimmia che persegue la giustizia e aiuta a liberare chi è prigioniero.
-Il dio Hanuman potrebbe liberarmi?
-Domani ti porterò una statuetta del Dio e tu le rivolgerai le tue preghiere. –
Preziosa non era riuscita a dormire dall’ansia. Esisteva davvero qualcuno o qualche forza benefica che potesse soccorrerla?
La mattina dopo, nel giardino, Enty le aveva consegnato una statuetta di terracotta: aveva la testa di scimmia e il corpo di uomo.
-Prega il dio Hanuman. Egli vedrà la sincerità del tuo cuore. –
Preziosa aveva subito sistemato il dio su un mobile e gli aveva offerto acqua pura e manciate di petali di fiori freschi.
Poi, aveva iniziato a supplicarlo.
-Ti prego, Hanuman, tu che sei saggio e onesto, oltre che giusto, fammi tornare a casa. So che qui è tutto meraviglioso, avrei ogni piacere e ricchezza ma perderei la mia essenza certa e soprattutto l’amore. Perdonami se sono stata sciocca sottovalutando il dono più vero che mi fosse capitato. Fammi tornare da Umberto per sempre. –
Le lacrime scendevano dagli occhi del cuore mentre baciava i piedi della statua.
Proprio quel pomeriggio, Ravi le aveva annunciato che il tempo ormai fosse giunto.
-Credo che tu abbia avuto un periodo abbastanza lungo di conoscenza dei luoghi e anche della mia persona. Domani verranno i sarti per preparare per te il vestito da sposa e molti altri abiti. Tra tre giorni sarai finalmente la mia Maharani e inizieremo un lungo viaggio per presentarti al popolo dei miei territori. –
Preziosa si era rifugiata nelle sue stanze ancora più disperata. Purtroppo, il momento che temeva era giunto, il Maharaja Ravi Singh avrebbe preteso che lei diventasse Maharani a tutti gli effetti.
Supplicando Hanuman, aveva baciato e ribaciato i piedi della statuetta fino a quando non si era assopita.
Spuntava il sole. Enty l’aveva svegliata.
-Dunque, andiamo. Sali sul calesse insieme a me.
– Dove andiamo?
-A casa. Ti riporterò a Savona.
-Grazie! Grazie! – Preziosa cercava di abbracciare la sua nuova amica.
-Non perdere tempo! Se vuoi portare qualcosa con te, puoi farlo.
– No, non voglio portare nulla. Solo la statuetta di Hanuman che tu mi hai dato. –
Tenendo stretta l’immagine del Dio, Preziosa si era sistemata sul sedile del calesse. La scimmietta, invece, si era seduta in groppa al cavallo e ne aveva afferrate le redini.
Il calesse tirato da un cavallo bianco e guidato da Enty si era rapidamente alzato verso l’alto mentre dal basso era deflagrato un urlo spaventoso. Tutto si era fatto buio, la pioggia battente aveva investito i fuggitivi, lampi e tuoni scuotevano il carrozzino e innervosivano il cavallo.
Forse sarebbero precipitati.
-Hanuman, salvaci tu! – implorava Preziosa mentre Enty cercava di tenere a freno il cavallo imbizzarrito che minacciava di scaraventarli nell’abisso nero che si era spalancato sotto di loro.
Il grande Serpente che l’aveva condotta in quel paese le aveva seguite e tentava di divorare Enty nella sua bocca spropositata mentre un vento furioso cercava di strappare Preziosa dal calesse.
Sembrava la fine del mondo ed era, certamente, la fine della fuga verso la libertà.
Invece, dalla statuetta che Preziosa teneva tra le mani era partita, improvvisamente, una saetta: il grande Serpente era caduto a testa in giù disintegrandosi e persino il vento aveva interrotto la sua furia.
Velocemente allora la piccola carrozza si era allontanata da quel luogo, il cielo si era rasserenato ed era apparsa solo qualche nuvoletta leggera.
Ecco, infine, laggiù, spuntare la Torretta e finalmente la Torre del Brandale.
-Allora, Preziosa, sei pronta? Hai messo il tuo costume nell’armadio?
-Sì, sì. Possiamo tornare a casa, grazie al cielo!
-Ma come ti sei vestita? Non sapevo che avessi un sari. Te lo sei fatto fare dalla sarta? E così bello, poi! Color ciclamino e tutto bordato in oro. Ti sta davvero bene.
-Sì, Umberto. Sono molto stanca. Non vedo l’ora di riposarmi un po’.
-Hai una scimmia al guinzaglio? Dove l’hai presa?
-Me l’ha regalata una mia amica.
-Non me n’ero accorto. Sembra simpatica. Penso che ti farà compagnia.
-Sì. Ora, però, desidero solo abbracciarti e baciarti. Mi sei mancato tanto.
-Tanto? Il tempo di cambiare il costume? Comunque sono contento che desideri starmi vicino. Anch’io non chiedo altro che rimanere con te per l’eternità. –
prof.ssa Renata Rusca Zargar
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