Si è celebrato da poco (dicembre 2024) il centenario del Monumento al Medico Caduto, inaugurato all’indomani del Primo Conflitto Mondiale, all’interno della Scuola di Sanità Militare di Firenze, su cui l’autore, lo scultore ferrarese Arrigo Minerbi, ha inciso un epitaffio al medico vittima della guerra, definito “il più umano degli Eroi”.

Realizzato con il bronzo dei cannoni austriaci, lo stesso con cui erano state forgiate le medaglie al valore dei soldati, rendeva omaggio a tutti quei medici e aiutanti di sanità, che si erano messi al servizio del Paese, morti nell’adempimento del loro dovere.

Medici caduti in guerra, che hanno onorato l’impegno, ricordato da un passo del Giuramento Professionale FNOMCeO, di “prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità”.

In prospettiva storica, l’epidemia di COVID-19 ha sostanziato queste parole di drammatica consapevolezza.

Ma non c’è solo l’emergenza COVID-19, durante la quale medici e infermieri hanno combattuto una vera guerra: contro il virus, contro il tempo, contro la mancanza di presidi di protezione individuale, contro la debolezza della rete territoriale…

Ci sono le tante battaglie quotidiane che, giorno dopo giorno, medici e infermieri combattono contro la burocrazia, la mancanza di personale, il taglio dei finanziamenti, il rischio della privatizzazione.

La sanità toscana, figlia della grande riforma del 1978, si colloca ai vertici della sanità italiana, con punte di vera eccellenza: solo a Firenze, il Meyer è diventato nel 2022 Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico e l’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi è stata insignita del Pegaso d’oro.

Ma potremmo citarne altre.

La classifica del Ministero della Salute, che pone la Toscana al secondo posto tra le varie regioni, valuta i Lea, il «livello essenziale» di cure in condizioni di qualità, appropriatezza e uniformità, che comprendono indicatori fondamentali, articolati in 3 livelli: tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività ed ai singoli; le attività e i servizi sanitari e socio- sanitari diffusi sul territorio; l’assistenza ospedaliera.

Ma i LEA sono basati su dati secondari amministrativi e non danno voce alle persone.

Né ai medici e agli infermieri, né ai pazienti.

Innegabile la lunghezza delle liste d’attesa e innegabile la mancanza di personale, nelle strutture e sul territorio, soprattutto nelle zone più disagiate, là dove potrebbe funzionare la telemedicina, se fosse garantita una copertura di rete adeguata: penso all’Appennino, dove alcuni Comuni non hanno un medico di base e dove la tecnologia satellitare d’Oltre-oceano sopperisce alla mancanza della fibra o di una rete internet satellitare alternativa pubblica.

Ma, soprattutto, è innegabile la lusinga delle strutture private, che si propongono come opzione rispetto a quelle pubbliche, anche se, in Toscana, oltre alle prestazioni previste per legge dai livelli essenziali di assistenza, vengono garantite anche prestazioni aggiuntive, che non sono contemplate a livello nazionale e che caratterizzano il suo sistema sanitario pubblico.

In questo quadro, c’è un elemento comune: anzi, non c’è. Il tempo. Ai nostri medici e ai nostri infermieri, sempre più bersaglio di reazioni violente da parte degli utenti, ma anche agli utenti stessi, dovremmo assicurare più tempo, ma il tempo si guadagna solo se il carico di lavoro viene distribuito su un numero maggiore di professionisti.

“Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”: così recita l’art.8, Legge 22 dicembre 2017 n. 219, intitolata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, ma medici e infermieri questo tempo non ce l’hanno, perché sono in numero insufficiente e perché ne trascorrono buona parte nell’adempiere a richieste burocratiche.

Eppure, ci sforziamo di trasmettere, con ogni mezzo, l’importanza della comunicazione, il valore della compassion, le conseguenze positive di una informazione trasparente e chiara…

Non è facile nella realtà dei Pronti Soccorso superaffollati, nelle RSA con scarso personale, negli ambulatori e nei reparti, dove i turni sono pesantissimi.

Ogni professionista che abbandona, perché sopraffatto da queste battaglie quotidiane, è un “medico caduto”: non ha perso la motivazione e la fiducia nell’ideale. E’ stato sconfitto dal sistema.

Donatella Lippi

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