L’Europa è a un bivio drammatico. Da una parte, il progetto di Macron, Starmer e von der Leyen per una difesa comune, un riarmo accelerato e un aumento esorbitante delle spese militari. Dall’altra, una resistenza sempre più ampia che vede questa corsa agli armamenti come un suicidio politico, sociale ed economico.
Ma questa non è solo una scelta di bilancio, non è solo una questione di quanti carri armati acquistare o quante brigate addestrare. Questa è una decisione sull’anima dell’Europa stessa. Vogliamo un’Unione Europea che diventi un blocco militarizzato, pronto a lanciarsi in avventure belliche? O vogliamo un’Europa che riprenda la sua vocazione originaria di pace, diplomazia e mediazione?
Difesa europea o follia militarista?
Il vertice di Londra ha lanciato un messaggio chiaro: l’Europa deve armarsi, e deve farlo subito. Si parla di 300.000 nuovi soldati, 1.400 carri armati, 700 pezzi di artiglieria, un aumento della spesa per la difesa al 3,5% del PIL, pari a 250 miliardi di euro all’anno. Uno stravolgimento epocale, che trasforma l’Europa da potenza economica e diplomatica a blocco militarizzato. Ma per cosa? Qual è la strategia? Dove ci porterà questo riarmo? Se l’obiettivo è solo “prepararsi al peggio”, ciò significa che qualcuno sta già accettando l’idea di un’escalation militare in Europa. Questa non è più una politica di difesa, è una dichiarazione di guerra preventiva. Ma guerra a chi? Alla Russia? A una Cina che guarda da lontano? A un terrorismo mai sconfitto?
La grande ipocrisia: chi pagherà il conto?
Mentre i governi dicono che “non ci sono soldi” per la sanità pubblica che sta collassando, per scuola e università sempre più sottofinanziate, per il welfare ridotto all’osso e per politiche per il lavoro che lasciano milioni di precari con salari bloccati, improvvisamente compaiono centinaia di miliardi per le armi. Come si può accettare una follia simile?
Chi oggi manifesta per l’Europa della pace viene ridicolizzato come ingenuo, mentre chi applaude al riarmo viene spacciato per “realista”. Ma il realismo è un’altra cosa. Realismo significa capire che un’Europa militarizzata non sarà più in grado di negoziare, mediare, essere protagonista della diplomazia globale.
Italia: l’ambiguità di Meloni e la subalternità a Francia e Germania
E l’Italia? Macron dice che dobbiamo stare al loro fianco, ma Meloni è perplessa. Davvero? È la solita ambiguità: non vuole schierarsi apertamente perché sa che l’opinione pubblica italiana è profondamente pacifista. Ma nello stesso tempo, non può permettersi di opporsi alla Francia e alla Germania, altrimenti il nostro Paese si troverà irrilevante nelle decisioni future.
Ma quale interesse ha l’Italia in questa escalation? Perché dovremmo sacrificare miliardi che potrebbero andare a scuola, ospedali e infrastrutture per un progetto che non fa altro che esacerbare le tensioni internazionali? La verità è che la politica italiana, ancora una volta, non ha il coraggio di dire di no.
15 marzo: l’ultimo treno per l’Europa
Per questo il 15 marzo diventa una data simbolica. È l’ultima occasione per dire “Europa sì, guerra no”. Lo ha detto bene Michele Serra: “Qui o si fa l’Europa o si muore”. Ma se questa Europa diventa una macchina da guerra, sarà l’Europa stessa a morire.
Non possiamo lasciare che il sogno europeo venga trasformato in un incubo militare. Non possiamo accettare un’Unione che diventa un blocco armato mentre milioni di cittadini faticano ad arrivare a fine mese. Non possiamo accettare che la politica scelga le bombe invece del futuro.
La storia ci sta mettendo alla prova. Abbiamo il coraggio di dire no?