“Inadatto: inadeguato a una situazione, non funzionale a uno scopo, privo delle attitudini necessarie.”

Questa parola mi ronzava in testa incessantemente, durante l’evento di Martedì 4 marzo, tenutosi nella parrocchia di Santa Lucia in Quarto Oggiaro, dove il gruppo culturale insieme a Don Giovanni Salatino ha voluto inaugurare la mostra “GIUBILEO DELLA SPERANZA” imperniata su due interrogativi.

Il primo vuole interrogarci su cosa e quanto sappiamo noi credenti di oggi riguardo a questo evento di grande portata spirituale ed è legato alla parte iniziale della mostra più didascalica che illustra e spiega le origini del Giubileo e si conclude con due testimoni di eccezione dei primi Giubilei cristiani, Dante e Petrarca.

Il secondo, invece, chiede se e come i cristiani di oggi tengano viva la fiamma della speranza interpretandone la risposta in un viaggio tra i segni indicati dal Pontefice come testimonianza tangibile di speranza quali la pace, l’importanza di promuovere  la vita sostenendo la natalità e l’attenzione ai carcerati, ai migranti, agli anziani.

Gli strumenti del mare

Focalizzandosi proprio su quest’ultimo punto, il gruppo culturale ha voluto accostare alla presentazione di questa mostra un suggestivo concerto d’archi con “GLI STRUMENTI DEL MARE”, costruiti dai detenuti del carcere di Opera, ricavati dal legno delle barche dei migranti, nell’ambito del progetto “Metamorfosi” della Fondazione della Casa dello Spirito e delle Arti.

 

Sono colorati di tinte consumate dal tempo e dalla salsedine, sono belli di una bellezza misteriosa, sono simili in tutto e per tutto a dei veri strumenti ma ciò che più mi colpisce è il loro essere meravigliosamente inadatti. Inadatti perché fabbricati con un materiale che non è nato per quello scopo, un legno troppo debole, troppo segnato, crepato, fragile e per questo anche difficilmente modellabile.

Musicisti con gli strumenti del mare

 

L’avranno pensato anche i musicisti  Angelo Calvo e Valentina Mattiussi al violino, Archimede De Martini alla viola e Maria Calvo al violoncello, come l’avrà  pensato chi ha sentito balenare in mente al visionario Arnoldo Mosca Mondadori questo progetto.

 

Chi non l’avrà sicuramente pensato sono stati i detenuti ai quali quel materiale è stato affidato, che, molto probabilmente, sono i primi a sentirsi inadeguati. Quella maestria nella caparbia determinazione di rendere qualcosa di unico quel che viene considerato scarto, non poteva che venire da loro.

Chi non l’avrà sicuramente pensato è quel bambino che Arnoldo ha visto scendere a piedi nudi da uno di quei barconi, quel bimbo che è la speranza personificata.

Arnoldo Mosca Mondadori

Quel legno che, come per la croce si è trasformato da castigo in trono, ha tramutato le paure in sogni per alcuni e, ahinoi, le  speranze in testamento per altri, non poteva andare bruciato come corpo di reato, doveva continuare a vivere.

 Doveva continuare a vivere nelle mani sapienti di quei liutai improvvisati; doveva ritrovare vita tra le mani di musicisti commossi; doveva rinascere per poter raccontare una storia che solo la musica può rendere universale.

Durante l’esecuzione della celebre aria sulla IV corda di Johann Sebastian Bach col pensiero rivolto a tutti loro, prigionieri per un errore e esuli per una necessità, ho pensato che quel destino poteva essere anche il mio, il nostro perché c’è una linea sottile tra noi e loro, molto sottile.

 

Chi crede che questo non accadrà mai a noi potrebbe essere smentito e potrebbe trovarsi improvvisamente dall’altra parte, ad essere guardato più che a guardare, ad essere aiutato più che aiutare, ad essere chi ha sete, chi ha fame, chi cerca di riguadagnarsi la dignità, chi perde la bussola per uno sbaglio e chi può perdere la vita per una speranza.

Grazie dunque a quelle mani che hanno costruito, grazie a quelle che hanno suonato, grazie alle tante tantissime mani che hanno applaudito ma, soprattutto, grazie alle mani che hanno reso sacro ciò che scarto non è.

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