Raffaele Gaggioli
Il 9 marzo è l’ultimo giorno di Justin Trudeau come Primo Ministro del Canada. Il politico canadese si è infatti dimesso dalla sua carica a inizio gennaio e sta solo aspettando la nomina del suo successore da parte del Partito Liberale canadese prima di ritirarsi a vita privata.
Il suo premierato ha coperto un arco temporale di quasi dieci anni, attraversando molti alti e bassi. Sotto la sua leadership, il Canada ha legalizzato il consumo di cannabis e ha aumentato gli aiuti finanziari per coppie canadesi che vogliono avere figli. Tradeau non è stato invece in grado di gestire la crisi del settore immobiliare canadese che ha causato un notevole aumento dell’inflazione nel Paese.
La crisi economica ha quindi gravemente danneggiato la popolarità del Primo Ministro e del suo partito, al punto che ad inizio 2025 il loro livello di gradimento si aggirava a malapena tra il 16 e il 22%. Dopo le dimissioni di due suoi ministri e la pressione dal suo stesso partito, Trudeau si era quindi dimesso nella speranza di aumentare le chance elettorali dei liberali durante le elezioni federali di quest’anno.
Poco più di due mesi dopo le sue dimissioni, l’indice di gradimento di Trudeau è tornato ad aumentare mentre i sondaggi vedono i suoi rivali conservatori in crescente difficoltà. Questo improvviso cambio di tendenza è stato dovuto ad un elemento di politica estera che, in un modo o nell’altro, ha influenzato il premierato di Trudeau sin dall’inizio: la presenza di Donald Trump alla Casa Bianca.
Le relazioni diplomatiche tra Ottawa e Washington erano già entrate parzialmente in crisi durante il primo mandato presidenziale di Trump. L’affarista newyorkese aveva infatti abolito la NAFTA (il trattato che nel 1993 aveva posto fine ai dazi commerciali tra USA, Canada e Messico) e durante il Covid aveva rifiutato di inviare mascherine o vaccini al Paese confinante. Secondo alcuni analisti, era stata proprio l’ostilità trumpiana ha favorire la successiva vittoria elettorale di Trudeau, presentatosi come l’unico politico capace di tenere testa al tycoon, alle elezioni canadesi del 2021.
La vittoria di Trump alle elezioni presidenziali del 2024 sembra stare producendo di nuovo un effetto simile in Canada. L’inizio del secondo mandato presidenziale di Trump è stato infatti caratterizzato da una politica estera fortemente ostile contro i canadesi. Trump ha infatti rinnegato gli accordi commerciali siglati da lui stesso con Trudeau nel 2017, insistendo che la bilancia commerciale penda troppo favorevolmente verso Ottawa e approvando una serie di dazi commerciali per costringere il Canada a nuove trattative.
La sua amministrazione ha anche accusato il Canada di essere parzialmente responsabile per l’arrivo nel territorio americano del Fenytail e di altre droghe normalmente prodotte in Messico e in Sud America. Alcuni membri dell’amministrazione Trump hanno addirittura suggerito di espellere Ottawa dalla “Five Eyes Alliance” (un accordo tra Canada, Inghilterra, Australia, Usa e Nuova Zelanda per la condivisione di intelligence e altre informazioni preziose).
Un elemento ricorrente nei discorsi del Presidente e dei suoi collaboratori è che il Canada dovrebbe diventare il 51esimo stato statunitense, nonostante i due Paesi presentino culture e storie completamente diverse. Non è chiaro il motivo per cui Trump abbia sviluppato questa ossessione, ma sta insistendo su questa idea sin dallo scorso ottobre e l’ha ripetuta più volte anche durante incontri e telefonate con membri del governo canadese.
L’improvvisa risalita nei sondaggi del Partito Liberale canadese è quindi coincisa con la più grave crisi diplomatica tra Washington e Ottawa sin dalla guerra del 1812. Una fetta consistente dell’elettorato canadese considera ora gli Stati Uniti una minaccia per l’indipendenza del proprio Paese.
Il primo a farne le spese è stato il Partito Conservatore canadese, fino a poche settimane fa dato in testa ai sondaggi in vista delle prossime elezioni federali canadesi. Negli ultimi anni, il suo leader Pierre Poilievre aveva adottato una linea politica simile a quella trumpiana, attaccando continuamente Trudeau relativamente all’immigrazione e insistendo che il Canada avrebbe beneficiato enormemente dal ritorno di Trump alla Casa Bianca.
La rinnovata ostilità di Trump all’esistenza del Canada ha quindi colto Poilievre alla sprovvista, dato che ora viene accusato apertamente di aver favorito un nemico del Canada. In particolar modo, i membri del Partito Liberale lo hanno accusato di non saper offrire opzioni concrete per gestire la situazione.
Al contrario, i liberali hanno visto la loro popolarità risalire. Per la prima volta dal 2020, hanno superato il 40% nei sondaggi al punto che, se il dato venisse poi confermato durante le elezioni federali, potrebbero continuare a governare il Canada per altri cinque anni.
Al di là del suo effetto sulle elezioni federali di quest’anno, il fattore Trump sta cambiando significativamente anche la politica economica ed estera di Ottawa. Sebbene Trump abbia ancora una volta rinviato l’imposizione di dazi commerciali, Trudeau ha annunciato l’imposizione di tariffe del 25 per cento su 155 miliardi di dollari (102,1 miliardi di euro) di merci statunitensi, mentre diversi governatori hanno annunciato che le loro provincie smetteranno di acquistare merci americane.
Il Canada sta anche cercando nuovi alleati militari. L’Inghilterra ha assicurato che il suo arsenale nucleare rimane a disposizione della ex colonia, mentre Trudeau sta usando le sue ultime ore da premier canadese per incontrare diversi capi di Stato europei nella speranza di incrementare i legami politici tra il Canada e il Vecchio Continente.
Come buona parte del mondo, il Canada si ritrova quindi a dover navigare attraverso un contesto geopolitico completamente diverso rispetto a pochi mesi fa, mentre Trump distrugge alleanze americane decennali.
Raffaele Gaggioli
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