© foto di SSC Bari

La giustizia sportiva ha parlato in modo chiaro e inequivocabile: dieci giornate di squalifica a Franco Vázquez, trequartista della Cremonese, per gli insulti razzisti rivolti a Dorval, esterno del Bari, durante la sfida tra le due squadre. Una punizione severa, ma giusta, che rappresenta un segnale forte nella lotta al razzismo nel calcio. L’indomani dell’accaduto, il Sindaco Leccese ha accolto il giocatore franco-algerino in Comune per esprimergli solidarietà e vicinanza da parte di tutta la città che è per definzione antirazzista, una città storicamente dell’accoglienza per antonomasia.

Il primo aspetto che emerge da questa vicenda è che, contrariamente a quanto alcuni insinuavano, l’arbitro Ferrieri Caputi ha visto e refertato tutto correttamente, dimostrando di aver fatto il proprio dovere con fermezza e lucidità. Insieme a lei, anche gli altri ufficiali di gara hanno segnalato l’accaduto, smentendo le voci che l’accusavano di incompetenza o superficialità o, peggio, che ha visto ma non ha refertato o, ancora, che era scesa anzitempo neglio spogliatoi “lavandose le mani” come un Ponzio PIlato qualsiasi. A confermare il tutto, poi, c’è stato il labiale catturato dalle telecamere e le dichiarazioni di tanti presenti lì vicino sul terreno di gioco: una prova inconfutabile che ha tolto ogni dubbio a chi credeva che l’episodio venisse sminuito.

Il mondo del calcio con questa sentenza ha dato dimostrazione che quando c’è da puntare il dito contro qualcuno nessuno si tira indietro. La giustizia sportiva ha il dovere di intervenire con severità, e questa volta lo ha fatto senza esitazioni. Tuttavia, la domanda più profonda è un’altra: quando impareremo che il razzismo negli stadi (e nella società) non può più essere tollerato? La triste verità è che, se siamo qui a discutere ancora di episodi del genere, significa che la lezione non è ancora stata appresa.

Se per anni il problema principale è stato il pubblico – con cori vergognosi che colpiscono i giocatori africani e le minoranze in generale – questa volta il protagonista è stato un calciatore, argentino, uno di coloro che dovrebbero essere modelli di rispetto e sportività. Un atto del genere, compiuto da un collega nei confronti di un altro professionista, è ancora più grave. Il calcio, come ogni sport, dovrebbe essere un luogo di aggregazione, di merito e non di discriminazione.

Va detto che la tendenza all’insulto razzista è spesso radicata in una certa cultura politica, in particolare quella di destra, che fa del nazionalismo esasperato, della paura del diverso e del rifiuto dell’integrazione una bandiera. Il razzismo, in fondo, è il riflesso di un pensiero che non riconosce nell’altro un pari, ma un nemico, un corpo estraneo. È una visione del mondo che storicamente ha alimentato regimi oppressivi e ha generato ingiustizie sociali.

La filosofia e la storia ci insegnano che il razzismo è il riflesso di una società malata, incapace di riconoscere nell’altro un proprio simile. Voltaire diceva che “il pregiudizio è un’opinione senza giudizio”, e in effetti il razzismo non è altro che un pregiudizio che si trasforma in odio, ignoranza e violenza. Martin Luther King ricordava che “l’oscurità non può scacciare l’oscurità, solo la luce può farlo. L’odio non può scacciare l’odio, solo l’amore può farlo”.

Tuttavia, è giusto riportare anche la posizione della Cremonese, che ha preso atto della sentenza ma ha ribadito la fiducia nell’innocenza del proprio tesserato. Il club grigiorosso ha espresso la speranza che Vázquez possa dimostrare, nei successivi gradi di giudizio, la sua estraneità ai fatti contestati, come già dichiarato ai collaboratori della Procura Federale nell’immediato dopo partita. Per questo, la società ha annunciato che, con i propri legali, intraprenderà ogni iniziativa necessaria per fare chiarezza sulla vicenda. Nello stesso comunicato, la Cremonese ha voluto sottolineare il proprio impegno concreto nella lotta al razzismo attraverso attività di responsabilità sociale che coinvolgono la squadra e l’intera comunità.

La speranza è che questa squalifica serva da monito. Che sia una punizione esemplare non solo per Vázquez, ma per tutti coloro che ancora pensano che insultare per il colore della pelle sia accettabile. Che sia una lezione per chi siede sugli spalti e crede che il calcio sia un’arena in cui sfogare le proprie frustrazioni con urla infami. Ma soprattutto, che sia un segnale per la società intera: il razzismo, in tutte le sue forme, deve finire. E deve finire punendo in modo esemplare chiunque se ne macchi, sia su un campo di calcio che nella vita di tutti i giorni. Perché non è solo un problema sportivo, ma un problema culturale e sociale che va estirpato senza esitazioni.

Massimo Longo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.