<a href="https://www.corrierepl.it/" target="_blank" rel="noopener">Corriere di Puglia e Lucania</a>

Giovanni Giolitti, al suo secondo mandato di presidente del Consiglio, si dimetteva, adducendo come causa una malattia

In un’Italia lacerata da  molteplici correnti politiche e ideologiche, nonché da istanze e pressioni, provenienti dal basso, di un radicale mutamento delle condizioni lavorative ed economiche, il presidente del Consiglio  Giovanni Giolitti, in una memorabile seduta alla Camera, si dimise. Banale la giustificazione data a questa sua scelta: problemi di salute.

Giolitti interviene alla Camera (1905).

Giolitti, dunque, figura cardine del panorama politico dell’Epoca, trasformista per eccellenza, ma anche propenso ad una modernizzazione dell’Italia, rinunciava al suo secondo mandato. Una scelta che destabilizzò ulteriormente il già precario equilibrio di un’Italia pervasa dallo tsunami della protesta di massa.

Una protesta che affondava le sue radici nel tessuto sociale degli ultimi e dei tanti lavoratori sottopagati e non tutelati sia sul piano della sicurezza che su quello dell’orario di lavoro.

Il ‘900

Un nuovo secolo spalancava le sue porte a quel radicale mutamento socio-economico, ma anche ideologico, che come vento gelido soffiava violentemente ovunque, in Europa.

E se l’Italia, notoriamente più restia ai fermenti rivoluzionari ed alle innovazioni ideologiche, rivendicava i propri diritti, scendendo in piazza o con scioperi che creavano una notevole condizione di disagio, era evidente che la grande rivoluzione del ‘900 era già in atto.

Tutto cambiava, tutto doveva cambiare. Ogni settore, dall’arte alla letteratura, dall’economia alla politica, era investito da questo fermento rivoluzionario che esigeva risposte ben precise.

L’Italia del’ 900

Le rivendicazioni sociali erano già in fieri in quell’Italia dell’800 che salutava con entusiasmo la sua unificazione, il suo tricolore. Si scriveva la storia di una Nazione  ancora oggi troppo frammentata.

L’industrialismo, specie nel Nord, aveva deluso tutte le speranze dei lavoratori, gestito da un liberismo economico privo di controllo da parte dello Stato e non erano migliori le condizioni dei contadini del Sud.

Si acquisiva una coscienza di classe e di categoria

Le agitazioni sindacali dei ferrovieri

Fu proprio a seguito delle numerose agitazioni sindacali dei ferrovieri italiani dell’epoca, che chiedevano la nazionalizzazione delle ferrovie, deficitarie sotto tutti i punti di vista, che Giolitti optò per le dimissioni.

Una strategia di Governo o mera incapacità di gestire una situazione che era divenuta insostenibile? Difficile poter rispondere a un interrogativo del genere.

Che Giolitti fosse un astuto uomo politico é ben noto. Ed anche in questo caso fece un passo indietro  per cedere il timone della soluzione delle questioni più scottanti a governi presieduti da suoi fedelissimi. Una mossa astuta per non scontentare gli estremisti, sia di destra che di sinistra.

In questa occasione appoggiò una “combinazione Fortis-Tittoni”. E, con il nuovo governo Fortis, il 22 aprile del 1905 furono nazionalizzate le ferrovie.

Una soluzione, questa, che andava incontro alle istanze dell’opinione pubblica, ma appoggiata dallo stesso Giolitti da sempre.

Nel 1906, però, cadde il governo, cui fece seguito il governo Sonnino, una delle parentesi più buie della storia d’Italia.

Ed anche questo governo  cadde rovinosamente dopo breve tempo, fortemente ostacolato da Giolitti che tornò alla ribalta della scena pubblica con il suo terzo mandato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.