Caprilli, il cavaliere – parte 2

 


Nell’articolo della scorsa settimana ho parlato di Federico Caprilli riassumendo la
breve e intensa storia di un uomo di cavalli destinato a rivoluzionare l’equitazione
dei suoi tempi e in seguito conosciuto in tutto il mondo tanto da meritarsi
l’appellativo di “genio dell’equitazione”.
Per meglio capire e introdurre il metodo Caprilli permettetemi di ripercorrere per un
attimo la scuola Francese, riferendomi al Generale l’Hotte, il quale seguendo a sua
volta i principi di D’Aure e quelli di Baucher era diventato con molta probabilità il
cavaliere più completo di quei tempi.
I suoi esempi furono il Conte D’Aure, che era di sicuro più adatto all’equitazione
militare, mentre Baucher proponeva tecniche più semplici e applicabili a cavalieri di
non eccelsa bravura.
L’Hotte non mescola tecnicamente i due metodi, ma applica a seconda dei risultati
che dovrà ottenere i principi di D’Aure o quelli di Baucher a seconda dell’equitazione
scelta: campagna e militare per il primo, artistica per il secondo.
Abile e acuto scrittore di argomenti equestri, lascia un segno profondo con i suoi
scritti che hanno messo in risalto i principi equestri essenziali. Arcinoto il suo motto:
calmo, dritto e in avanti. Il Generale L’Hotte morirà nel 1904.
Nel frattempo un giovane Caprilli, uscito dall’Accademia Militare di Modena, 1888,
viene assegnato inizialmente al Reggimento cavalleria di Saluzzo (TO) e
successivamente trasferito alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo.
Qui incontra un Istruttore civile che proveniva dalla Scuola di Vienna, il Cavalier
Cesare Paderni, uomo di larghe vedute, innovativo e riformista. Con Caprilli si dedica
lungamente allo studio e ai movimenti del cavallo, in particolare del cavallo in
libertà, impegnato in salti di elevazione ed estensione.
Caprilli sotto la sua scuola vede e intuisce ciò che per millenni nessuno aveva visto e
da qui inizierà la rivoluzione che porterà alla nascita del sistema di equitazione
naturale. Aveva compreso che la vecchia scuola detta “Equitazione di Scuola”
comunicava il principio nel quale il cavallo dovesse sottomettersi al volere
dell’uomo.
Egli infatti, inizialmente con molta difficoltà, cerca di fare capire come il lavoro
forzato di riunione dell’animale, montato con imboccature forti e pesanti,

provocavano solo dolori alla bocca del cavallo e gli assetti fatti con lunghe staffature
e con il busto all’indietro, nella convinzione di alleggerire l’avantreno, non
portavano a nessuna collaborazione dell’animale.
Purtroppo questa era la scuola e questi i regolamenti dettati dalle ferree regole
militari del tempo e non fu facile per il Capitano Caprilli imporre le sue teorie alla
rigida mentalità militare di allora.
In seguito i suoi profondi e ripetuti studi sui movimenti dei cavalli in libertà, sia in
piano che nel salto, confermarono le sue tesi e cioè che avrebbe dovuto essere il
cavaliere a sfruttare il naturale movimento dell’animale, muovendosi con esso in
equilibrio in qualsiasi situazione ambientale.
Caprilli spiegó come il cavallo dovesse essere gestito come lo vediamo in natura,
egli comprese come la sua evoluzione biologica sviluppasse al massimo tutti quegli
espedienti biomeccanici atti a garantire la migliore resa con il minore dispendio di
energia, pertanto promosse pienamente il lavoro in campagna, piuttosto che un
lavoro artificiale di maneggio, sostenendo che solo con il lavoro in natura l’animale
avrebbe acquisito tutto il suo naturale movimento.
Il cavaliere doveva e ancor oggi deve agire sopra l’animale seguendo i suoi
movimenti, deve imparare ad equilibrarsi, a tenere le mani il più possibile vicine e
ferme sopra il garrese, pronte a cedere in direzione della bocca al fine di permettere
al cavallo di prendere posizione con il collo e nello stesso tempo tenere un
leggerissimo appoggio.
A questo punto ci rendiamo conto che stiamo parlando della nostra moderna
equitazione: leggerezza, appoggio, contatto, libertà di movimenti e rispetto per il
cavallo.
É giusto far comprendere al lettore come a quel tempo Caprilli lavorasse su allievi di
una scuola militare e con questo metodo cercasse soprattutto di rendere più
semplice e rapido l’insegnamento alle giovani reclute, che dovevano espletare al
meglio i nuovo compiti di cavalleria.
Anche la tecnica del salto seguendo i dettami di Caprilli fu ampiamente modificata in
breve tempo e fu lui stesso a sperimentare il nuovo metodo portando i livelli del
salto oltre ogni previsione.
Grazie a questo grande cavaliere, venuto a mancare troppo presto, e ai suoi allievi e
amici, la Scuola Militare di Equitazione all’inizio del Novecento è diventata una vera
Università mondiale per l’equitazione; la sua scuola ed il suo insegnamento saranno
diffuse a tutte le cavallerie militari dell’epoca.

Con il passare degli anni il cavallo perderà d’importanza nel mondo militare,
sostituito dai mezzi meccanici, ma ancora oggi il sistema naturale di Federico Caprilli
rivive in ogni singola manifestazione equestre in tutta la sua bellezza e tecnica
dell’esaltazione del binomio. Lui per primo ha cambiato il rapporto con questo
splendido animale trasformandolo da strumento a essere senziente capace di
pensieri ed emozioni.

 Cav Luigi Conforti
Fonti dello scritto:
Federico Caprilli cento anni dopo. Mario Gennero e Domenico Bergero
Studi di Decarpentry – L’Hotte “Questioni Equestri”

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