L’Eco di Unus e la Visione Empatica di Menotti Lerro: Dalla Frammentazione alla Ricerca di una Nuova Totalità Artistica. Di Antonello Pelliccia (Accademia di Belle Arti di Brera).

La vicenda di Unus, questo “Artista Totale” il cui destino di smembramento nelle acque dell’Alento si carica di una densità mitica quasi perturbante, si impone alla mia riflessione con la forza di un archetipo. Non è semplicemente la narrazione di una tragica invidia fraterna, ma piuttosto la rappresentazione plastica di una condizione latente, di una potenziale dissoluzione che minaccia costantemente l’integrità dell’essere, e in modo particolare, la fragile coerenza dell’anima creativa – un tema che, come artista che spazia dall’architettura alla poesia, dalla pittura alla narrativa e al design, sento risuonare profondamente nella mia personale ricerca.
Come Valéry acutamente ci ricorda, la nozione stessa di “totalità” è forse una chimera, un punto di fuga ideale verso cui la mente incessantemente si protende, pur consapevole della sua intrinseca parzialità. L’artista, lungi dall’essere un monolite compiuto, è un campo di forze in tensione, un assemblaggio dinamico di percezioni e di impulsi. Eppure, la figura di Unus, nella sua originaria designazione di “Totale”, evoca un’aspirazione primordiale, un desiderio di quella Ganzheit che Musil avrebbe scrutato nelle pieghe dell’esistenza, una completezza forse irraggiungibile ma nondimeno fondativa – un anelito che guida anche il mio tentativo di far dialogare i diversi linguaggi espressivi che mi appartengono.

È in questo fertile terreno di riflessione, alimentato dalle nostre esperienze interdisciplinari tra arte e poesia all’Accademia di Brera, che la visione di Menotti Lerro ha saputo cogliere una necessità emergente. La frammentazione, non solo dell’individuo ma anche dei linguaggi artistici, appariva come una sfida cruciale per
comprendere la complessità dell’uomo contemporaneo, un essere sfaccettato che abita molteplici realtà e che necessita di una pluralità di sguardi per essere avvicinato. E fu proprio la sua intuizione a dare corpo a un nuovo orizzonte: il Movimento Empatico.

L’empatia, come Remo Bodei ha illuminato con la sua profonda analisi, si rivela qui non solo come una categoria filosofica o psicologica, ma come la forza motrice di una possibile guarigione, di una ricomposizione di ciò che è stato dolorosamente diviso. La “riunificazione” degli artisti che si riconoscono in questo Movimento, questo “tenersi per mano” simbolico e concreto, non è un mero atto di solidarietà corporativa, ma una risposta profonda alla ferita originaria, alla dispersione di Unus, che Menotti Lerro ha saputo interpretare come un monito e un’esigenza – un’esigenza che sento profondamente come artista alla costante ricerca di connessioni tra le diverse forme del mio esprimermi.

L’invidia che ha condotto alla distruzione di Unus risuona con quella “resistenza alla novità” che Valéry analizzava con lucida disillusione, quella forza inerziale che si oppone all’emergere dell’eccellenza, percepita come una perturbazione dell’ordine costituito. Ma la risposta del Movimento Empatico non è la rassegnazione, bensì un atto di resilienza creativa, una scommessa sulla possibilità di ricostruire un senso di unità attraverso la condivisione e la mutua comprensione – un principio che anima la mia stessa pratica artistica, tesa a superare le barriere tra le discipline.
Come Musil avrebbe forse osservato, questa ricerca di totalità attraverso l’empatia non è un processo lineare e privo di ambiguità. Essa implica la consapevolezza delle inevitabili frizioni, delle resistenze che emergono dall’incontro di individualità distinte. Tuttavia, proprio in questa tensione, in questo sforzo di “sentire con” l’altro pur mantenendo la propria specificità, risiede la potenzialità di una creazione artistica più ricca e complessa, capace di riflettere la multiformità del reale, una prospettiva che Menotti Lerro ha saputo infondere nel cuore del Movimento e che io stesso perseguo nel mio tentativo di comprendere l’uomo contemporaneo attraverso la lente interconnessa delle diverse arti.

Il Movimento Empatico, nato dalle riflessioni condivise e dalla propulsione visionaria di Menotti Lerro, si pone come un laboratorio di questa nuova totalità. Non si tratta di fondere indistintamente le diverse discipline artistiche, ma di creare uno spazio di risonanza, dove le singole voci possano dialogare e arricchirsi reciprocamente, in un modo che ricorderebbe forse la “costellazione” di idee e sensazioni che animava la prosa di Musil – un modello che trovo affine al mio desiderio di far interagire architettura, poesia, pittura, narrativa e design in una visione unitaria.

La figura di Unus, da individuo smembrato a simbolo di una ritrovata unità collettiva, incarna dunque una metamorfosi significativa. La sua tragica fine non segna la sconfitta della totalità artistica, ma piuttosto la sua trasmutazione in un ideale da perseguire attraverso la pratica dell’empatia, attraverso la consapevolezza che la pienezza non risiede nell’isolamento, ma nella capacità di connettersi e di vibrare all’unisono con l’altro, un principio cardine del Movimento e che risuona profondamente con la mia personale ricerca artistica.
In questo senso, il Movimento Empatico non è semplicemente un’aggregazione di artisti, ma un tentativo di incarnare quella “intelligenza affettiva” di cui parlava Bodei, una capacità di comprendere e di integrare le diverse prospettive non solo a livello intellettuale, ma anche emotivo. È il riconoscimento che l’arte, nella sua essenza più profonda, è un atto di comunicazione, un tentativo di superare la solitudine dell’io attraverso la creazione di un “noi” più ampio e inclusivo, un’intuizione che ha guidato l’iniziativa di Menotti Lerro e che alimenta la mia costante esplorazione delle interconnessioni tra le arti per sondare la complessità dell’esistenza.

L’eco di Unus, disperso nelle acque ma ritrovato nel cuore del Movimento Empatico, ci invita dunque a riconsiderare la natura stessa della creazione artistica. Non più un’impresa solitaria e autoreferenziale, ma un processo dialogico, un’esplorazione collettiva delle infinite possibilità espressive che scaturiscono dall’incontro e dalla comprensione reciproca. In questo “tenersi per mano”, in questa fiducia nella forza connettiva dell’empatia, promossa con fervore da Menotti Lerro e che anima la mia personale ricerca di un linguaggio artistico onnicomprensivo, risiede forse la promessa di una nuova fioritura artistica, capace di rispecchiare la complessità del nostro tempo e di offrire un orizzonte di speranza e di rinnovata unità.

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