di Melinda Miceli
In ogni città antica, le porte sono molto più che meri accessi urbani: esse incarnano soglie simboliche, passaggi di coscienza, confini sacri tra l’interno e l’esterno, tra il profano e l’iniziato. Catania, la fenice dell’Etna, risorta più volte dalle sue ceneri, possiede nella sua pietra lavica non solo la memoria della sopravvivenza, ma anche l’eco di una bellezza scolpita in forma monumentale. Le sue porte storiche, da Porta Garibaldi a Porta Uzeda, sono testimonianze di una civiltà che ha saputo dialogare con il tempo attraverso l’arte.
Porta Garibaldi, chiamata un tempo Porta Ferdinandea, costruita nel 1768 per celebrare le nozze di Ferdinando IV con Maria Carolina d’Austria, si impone con la sua scacchiera di pietra lavica e calcarea, vera allegoria visiva dell’eterna lotta tra luce e ombra. Le aquile borboniche, che vegliano sulla struttura, si stagliano come presagi araldici di un potere che si voleva celeste e incorruttibile. “Le pietre parlano,” scriveva Goethe, “se sai ascoltare il linguaggio del tempo.” E questa porta parla con voce alta, celebrando un’epoca barocca in cui il simbolo era architettura, e l’architettura un poema scolpito.
Scendendo verso il mare, si erge Porta Uzeda, con la sua facciata barocca disegnata da Giovanni Battista Vaccarini, inserita tra i corpi del maestoso Palazzo dei Chierici e della Cattedrale di Sant’Agata. Qui l’arte si fa soglia sacra, attraversamento mistico tra la città e la spiritualità. Il nome stesso, Uzeda, evoca l’aristocrazia spagnola che ha lasciato in Catania la sua impronta, come un sigillo nobiliare nella carne viva della pietra.
Ma non vi è porta che non contenga un messaggio iniziatico. L’architettura delle porte antiche di Catania custodisce motivi allegorici: mascheroni apotropaici, stemmi araldici, volute, conchiglie, rilievi di divinità pagane e cristiane si alternano in un dialogo che richiama i simboli dell’alchimia e dell’ermetismo. Come disse Aby Warburg, “Dio si nasconde nei dettagli”, e in questi dettagli si cela la sapienza di chi ha edificato con intento sacro.
Catania, città “nera di lava e bianca d’anima”, come ebbi a definirla in uno dei miei saggi, è un corpus vivente di arte e spiritualità. Le sue porte sono portali di passaggio tra il visibile e l’invisibile, tra la città reale e quella ideale. Camminare sotto queste arcate significa ripercorrere la storia, ma anche varcare soglie interiori, accedere a una topografia dell’anima, come in un itinerario iniziatico.
E come scrisse Marguerite Yourcenar:
“Costruire è collaborare con la terra, è segnare un passo dell’eternità.”
Le porte di Catania sono questo: passi eterni scolpiti nel magma, soglie d’arte che ci insegnano che ogni ingresso può essere un atto sacro.