I borghi del Sud in spopolamento  

Nel respiro antico dei borghi del Sud, dove ogni pietra custodisce l’eco di epoche nobili e ogni vicolo si fa memoria di un’umanità operosa, oggi aleggia un silenzio che si fa piaga: il silenzio dello spopolamento. Sono scenari incantati, sospesi tra cielo e mare, dove il tempo pare essersi cristallizzato in un affresco di luce mediterranea; eppure, proprio questi luoghi che furono culla di civiltà sono oggi svuotati delle loro voci più giovani, come se un incantesimo li avesse condannati all’oblio.
I borghi del Meridione — da Gerace a Galatro Terme, da Sutera a Pietrapertosa, si offrono agli occhi come reliquiari viventi. Architetture normanne, arabeggianti labirinti di case bianche, chiese scolpite nella pietra come gemme votive: ogni elemento racconta una storia di stratificazioni culturali, di incontri e di contaminazioni sublimi. Le terrazze si aprono su vallate misteriose, i profumi di zagara e rosmarino si mescolano all’aria, e le piazze, un tempo teatro di feste patronali e mercati brulicanti, ora custodiscono solo l’ombra dei passati splendori.
Come antichi manieri sferzati dal vento, i borghi subiscono l’erosione di forze moderne spesso cieche alla loro sacralità. L’assenza di lavoro, la mancanza di servizi essenziali, l’isolamento infrastrutturale e la desertificazione sociale sono i demoni che li assediano. Le giovani generazioni, come uccelli migratori, abbandonano i nidi in cerca di orizzonti più promettenti, portando con sé il sangue vivo della comunità. E così, come antiche necropoli, i borghi si svuotano, lasciando spazio solo agli anziani, custodi di memorie che rischiano di spegnersi con loro.
Ma laddove c’è bellezza, c’è speranza. I borghi non chiedono altro che una nuova alleanza tra uomo e territorio, fondata sulla consapevolezza che l’autenticità è la vera ricchezza del futuro. Le soluzioni esistono e risiedono nella visione e nel coraggio: investimenti mirati nel turismo esperienziale e culturale, incentivi per il ritorno dei giovani attraverso smart working e imprese agricole innovative, il recupero del patrimonio immobiliare attraverso progetti di accoglienza diffusa e residenze artistiche.
Anche l’anima dei borghi può essere ripopolata: attraverso festival d’arte, scuole di mestieri antichi, itinerari spirituali che risveglino il sacro che ancora permea questi luoghi. È necessaria una nuova narrazione che restituisca al mondo l’immagine dei borghi non come rovine, ma come custodi viventi di un’umanità più autentica, capace di dialogare con la modernità senza rinnegare le proprie radici.
I borghi del Sud sono templi naturali, sospesi tra l’umano e il divino. Non sono da considerarsi terre dimenticate, bensì matrici da cui può rifiorire una nuova visione di futuro. Nel silenzio delle loro vie, chi sa ascoltare può ancora udire il battito lento ma caparbio della speranza: quella di una rinascita che, come il sole dopo la tempesta, saprà riportare la vita dove oggi regna l’assenza.
Sui borghi dimenticati del Sud che muore senza che nessuno alzi un dito si potrebbe dire:
“Si distrugge ciò che non si conosce” scriveva Antoine de Saint-Exupéry. E noi, fieri figli di un’Italia che si crede moderna, stiamo distruggendo, con l’indifferenza, i nostri borghi più belli, i luoghi dove il tempo ha cesellato la civiltà, dove il silenzio parla ancora in greco, latino e arabo.
Attraversando le strade spopolate di Sutera, di Gerace, di Craco, Sant’Angelo Le Fratte, Galatro Terme, viene alla mente la profezia di Pier Paolo Pasolini, che parlava della “scomparsa delle lucciole” come della fine di un’Italia contadina, autentica, spirituale. Oggi non spariscono solo le lucciole: spariscono interi paesi traditi.
Chiunque abbia occhi (non solo iPhone) vede che questi borghi sono capolavori d’arte e natura, di una bellezza unica disabitata. Le case in pietra, le chiese scolpite come reliquiari, le scalinate che sembrano pensate da artisti del paesaggio: ogni angolo è una poesia di pietra. Borges diceva che “la bellezza è quel che resta dello splendore del vero”: ebbene, nei borghi del Sud il vero è ancora visibile e da scoprire, amato dai cacciatori dell’insolito.
Non è la mancanza di modernità a uccidere i borghi: è l’ignoranza. È l’idea miserabile che progresso significhi solo palazzi di vetro e centri commerciali. Come se l’anima di un popolo potesse stare in un outlet.
L’abbandono non è inevitabile. È frutto di precise scelte o non scelte, l’assenza di infrastrutture, di lavoro, il disinteresse di alcune amministrazioni incapaci di valorizzare il proprio patrimonio. E chi emigra spesso non per suo volere, sa che abbandona una biblioteca millenaria per una discoteca di periferia.
Nietzsche scriveva: “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”. I borghi non hanno più un “perché”. Nessuno glielo racconta. Nessuno lo difende.
Le soluzioni sono elementari, tanto quanto il coraggio che manca a metterle in pratica.  
In primo luogo: incentivi veri per chi vuole trasferirsi. Non elemosine, non bonus spot: piani decennali di investimento sul restauro, sulla viabilità, sui servizi essenziali.
In secondo luogo: cultura. I borghi devono diventare centri di produzione artistica, sedi di festival internazionali, poli universitari decentrati. Dove c’è arte, c’è vita. Dove c’è identità, c’è futuro.
Infine, serve una nuova narrazione. I borghi non sono da vendere a 1 euro come stracci usati, ma da esibire come corone. Come monili rari. Bisogna far capire ai giovani che vivere a Gerace, a Savoca o a Castelmezzano è importante tanto quanto abitare in un condominio di città.
“Chi salva una vita salva il mondo intero», dice il Talmud. Chi salva un borgo, salva l’Italia.  
Non abbiamo bisogno di nuovi grattacieli, di nuovi centri commerciali, di nuove cattedrali nel deserto. Abbiamo bisogno di ritrovare l’anima, e l’anima abita ancora, in silenzio, nei borghi vuoti del Sud.
Chi non lo capisce è complice di un  assassinio e peggio ancora, complice della propria ignoranza verso la propria nazione.
Dott.ssa Melinda Miceli Critico d’arte 
Vedute panoramiche di Galatro Terme

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