Conclave e sfida globale: tra preghiere, dazi e leader sempre più soli

“La pace non può reggersi sulla forza, ma soltanto sul consenso”
— Albert Einstein

A San Pietro, mentre la Chiesa seppelliva Francesco e invocava lo Spirito Santo, la politica mondiale metteva a nudo il proprio fallimento.
Altro che omaggio unanime: il funerale del Papa è stato il teatro di incontri gelidi, strette di mano senza fiducia, sguardi sfuggenti tra capi di Stato che sembrano incapaci perfino di parlarsi.

Tra i cardinali — 220 in tutto, 133 elettori — si respira l’attesa per un nuovo inizio. Ma il mondo laico, quello dei potenti, dà spettacolo della propria crisi, incapace di ritrovare la bussola in un’epoca di guerre, barriere economiche, fratture sociali sempre più profonde.

Il vertice dei fallimenti

All’interno della Basilica, Trump e Zelensky si sono incrociati appena: pochi minuti, zero contenuti. Non una parola sulla pace, non un gesto di riconciliazione.
La vera battaglia si è consumata altrove, nelle stanze laterali e nei colloqui riservati, dove Donald Trump ha affrontato Giorgia Meloni e gli altri leader europei.
Tema del giorno: i dazi.

Trump, fedele alla sua linea protezionista, ha rilanciato minacce di nuove barriere commerciali contro l’Europa. Nessuna apertura, nessuna diplomazia: solo l’ennesima prova di forza, in un mondo che avrebbe bisogno di esattamente il contrario.
“I problemi del mondo non possono essere risolti allo stesso livello di coscienza che li ha creati,” ammoniva Albert Einstein. Eppure Trump sembra ignorarlo, scegliendo di arroccarsi sempre più in difesa.

La strategia, però, mostra già tutte le sue crepe: perdite miliardarie per le aziende americane, crollo della fiducia internazionale, l’ombra della recessione che torna a farsi pesante.

L’abbandono di Musk

A rendere ancora più cupo il quadro per Trump, l’allontanamento di uno dei suoi alleati più preziosi: Elon Musk.
L’imprenditore che più di altri aveva incarnato il sogno americano del XXI secolo ha scelto di smarcarsi, e lo ha fatto nel modo più rumoroso possibile: pubblicamente, sui social, davanti a milioni di follower.
«Non è questa la strada», ha scritto Musk, chiudendo di fatto un’alleanza che sembrava intoccabile.
Non solo una questione d’immagine: Musk porta via con sé visibilità, innovazione, capitali, e contribuisce ad accrescere la sensazione di isolamento che ormai circonda l’ex presidente americano.

La solitudine dei potenti

La scena è surreale: in una piazza che celebra la fine di un’epoca spirituale, i leader politici si muovono come comparse spaesate, incapaci di cogliere il momento.
Trump, isolato; Zelensky, assediato dal conflitto senza fine; Meloni, stretta tra la fedeltà atlantica e le inquietudini europee.
Nessuno sembra avere una visione, una proposta, un’idea che possa ridare fiato a un sistema mondiale in crisi.

Nel frattempo, la Chiesa si prepara al suo tempo di riflessione più profonda.
Il conclave comincerà ufficialmente lunedì 5 maggio, salvo slittamenti tecnici a martedì 6 maggio, dopo la chiusura delle congregazioni generali.
Un appuntamento decisivo non solo per i cattolici, ma per tutto il mondo: perché il prossimo Pontefice dovrà guidare non soltanto una comunità religiosa, ma anche offrire un’idea di futuro capace di parlare a un pianeta sempre più disorientato.

“Non si può camminare in avanti se si guarda sempre indietro,” ammoniva John Lewis.
Eppure sembra che tutti, da Washington a Bruxelles, stiano guardando soltanto al passato, incapaci di percepire l’urgenza del presente.

Segnali dal futuro

Sul sagrato, i gesti parlano più delle parole.
Pietro Parolin, il Segretario di Stato vaticano e uno dei favoriti, si avvicina a Matteo Zuppi, altro candidato forte, e scambia qualche parola sottovoce durante la Messa.
Poco più in là, Luis Antonio Tagle — il cardinale filippino, considerato il “Francesco d’Oriente” — posa la mano sulla spalla del congolese Fridolin Ambongo.
Piccoli gesti, ma pieni di futuro: intrecci di amicizia, alleanze, forse progetti.

Intanto, ai margini, ci sono i vecchi leoni della Chiesa: Camillo Ruini, Angelo Comastri, Giovanni Lajolo. In carrozzina o appoggiati al bastone, ma ancora presenti, ancora custodi della memoria.

Le due crisi

Due crisi si sono incrociate sotto il cielo di San Pietro.
La crisi della politica mondiale, che non trova più né parole né idee.
La crisi, più profonda ma forse più feconda, di una Chiesa che si interroga sul proprio futuro.

“Quando il potere è più importante del servizio, nasce il declino,” aveva ammonito Papa Francesco.
Eppure, quello che stiamo vedendo è esattamente il contrario: la politica è diventata un gioco di potere, non di servizio.

Oltre il rito, la sfida

Nella piazza più universale del mondo, la fede ha celebrato il suo mistero.
Ma intorno a quella fede, la politica ha mostrato ancora una volta la sua fragilità.

Trump si chiude nei suoi slogan.
Musk volta le spalle.
I leader europei tentano goffi equilibri.

E la Chiesa, ancora una volta, si trova chiamata a ricordare al mondo che non basta costruire muri, innalzare dazi, spezzare alleanze: serve uno sguardo più grande, una visione che non sia solo difesa, ma anche coraggio, apertura, futuro.

La sfida è cominciata.
Non solo sotto gli affreschi della Sistina, ma nelle piazze e nelle strade di un mondo che scivola verso l’irreparabile, alla ricerca di un qualche leader che sappia indicare una via.

Carlo Di Stanislao

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