Il conflitto indo-pakistano si riaccende
Di Raffaele Gaggioli
Le tensioni tra l’India e il Pakistan vanno oramai avanti da decenni, secondo alcuni almeno dal 1947 quando i due Paesi ottennero l’indipendenza dall’impero britannico. La colonia inglese nel subcontinente fu divisa in base alla religione dominante nelle varie regioni, decisione che provocò la morte di più di 500.000 persone quando indù e mussulmani dovettero abbandonare le loro case per trasferirsi nei due nuovi stati indipendenti.
La partizione del subcontinente lasciò inoltre insoddisfatti i nazionalisti pakistani a causa della situazione nel Kashmir. Nonostante la maggior parte della sua popolazione sia di fede islamica, due terzi della regione furono assegnati all’India. Questa divisione è tuttora una delle maggiori fonti di tensione tra New Delhi ed Islamabad, al punto che ben due guerre, rispettivamente nel 1947 e 1965, sono state combattute nel tentativo di modificare il confine.
Le continue tensioni tra i due Paesi sono il motivo principale per cui entrambe le nazioni hanno investito considerabili risorse nello sviluppo e nell’ampliamento dei loro arsenali nucleari. Secondo gli esperti, il Pakistan possiede attualmente 165 bombe nucleari, mentre l’India ne ha 160.
Anche se il rischio della distruzione completa di entrambe le parti in caso di conflitto nucleare ha finora impedito lo scoppio di ulteriori guerre, le tensioni tra i due Paesi sono in realtà aumentate negli ultimi decenni a causa dei cambi politici avvenuti nei loro governi.
Il Pakistan viene quasi universalmente considerato uno stato fallito, a causa della diffusa povertà, instabilità interna e mancanza di libertà politica. Oramai da decenni è governato dalle sue forze armate, che non sono però in grado di contrastare né la crescita di milizie separatiste in molte sue regioni, né la presenza di gruppi terroristici islamisti.
Allo stesso tempo, la politica interna dell’India sembra essere diventata molto più autoritaria dopo l’elezione di Narendra Modi a primo ministro nel 2014. Modi e il suo partito, il Bharatiya Janata Party, sono seguaci dell’ideologia hindutva, secondo la quale l’intera India deve essere unifica a livello culturale attraverso la conversione forzata o l’espulsione di qualsiasi altro gruppo religioso o etnico. I primi a farne le spese sono stati gli abitanti del Kashmir.
Nel 2019 New Delhi ha revocato l’autonomia del Kashmir e ha usato le successive proteste da parte degli abitanti per giustificare l’invio di soldati e l’interruzione dei servizi internet nella regione. Secondo le ultime indiscrezioni, ad poggi il governo indiano starebbe incoraggiando i cittadini induisti a trasferirsi in Kashmir, mentre molti abitanti mussulmani denunciano casi di violenza e la distruzione delle loro case per lasciare spazio ai nuovi coloni.
La violazione dei precedenti trattati riguardanti il Kashmir ha riacceso le tensioni tra India e Pakistan e i recenti eventi sembrano stare spingendo la situazione fino al punto di non ritorno, Il 22 aprile il Fronte di resistenza (Trf), ritenuto un gruppo ombra della formazione armata indipendentista islamista kashmira Lashkar-e-Taiba, ha aperto il fuoco su un gruppo di turisti in Kashmir, provocando la morte di oltre 20 persone.
New Delhi ha quasi immediatamente denunciato un possibile coinvolgimento del governo pakistano nell’attacco. Secondo le accuse del governo indiano, i terroristi sarebbero stati addestrati ed armati da agenti pakistani per colpire in maniera indiretta l’India.
Queste accuse sono coincise con l’espulsione di molti diplomati pakistani dall’India, la chiusura dei confini terrestri tra i due Paesi, l’annullamento dei visti rilasciati ai pakistani e, per la prima volta, la sospensione del trattato sulle acque del fiume Indo firmato nel 1960.
Quest’ultima rappresaglia rappresenta una grave minaccia per Islamabad, in quanto il trattato regola le competenze delle due parti nella gestione del bacino del grande fiume che attraversa nel corso superiore il territorio indiano, mentre il Pakistan è attraversato dai suoi cinque affluenti principali. Se New Delhi decidesse di bloccare i rifornimenti idrici al Pakistan, il suo settore agricolo crollerebbe, forse causando addirittura una carestia nel Paese.
Islamabad ha dichiarato che questa possibile mossa verrebbe vista come un atto di guerra e ha minacciato gravi conseguenze per New Delhi. Il governo pakistano ha poi chiuso il suo spazio aereo alle compagnie di volo indiane, espulso i consiglieri della difesa, sospeso i visti rilasciati agli indiani (con l’eccezione dei pellegrini di fede sikh) ed interrotto tutti i precedenti accordi bilaterali.
Il 25 aprile ci sono stati degli spari fra soldati indiani e pakistani stazionati lungo la Linea di controllo (il confine mai riconosciuto che divide il Kashmir tra i due Paesi). Anche se non è stato coinvolto alcun civile e non è stato ferito alcun soldato, quanto successo non fa altro che aumentare la tensione lungo il confine.
Ora non rimane che aspettare la prossima mossa di Modi. Nel 2019, il primo ministro indiano aveva infatti dovuto affrontare una crisi simile dopo che un gruppo terroristico sostenuto dal Pakistan uccise 40 paramilitari indiani nella regione di Pulwama. La risposta di Delhi fu un raid aereo contro un presunto campo terroristico in territorio pakistano, seguito da una controffensiva aerea di Islamabad e l’abbattimento di un caccia indiano. Solo le mediazioni iraniane e cinesi impedirono lo scoppio di un conflitto aperto.
Raffaele Gaggioli