sinistra afona, sindacato in trance
È toccato a Sergio Mattarella, presidente della Repubblica e ultimo custode della decenza istituzionale, l’onere di parlare seriamente di lavoro a pochi giorni dal Primo Maggio. E lo ha fatto dal cuore di una fabbrica, la BSP Pharmaceuticals di Latina, come un monito silenzioso ma devastante per chi — da decenni — dovrebbe farlo per mestiere: la sinistra politica e i sindacati.
Mentre i salari reali in Italia restano inferiori a quelli del 2008, mentre i lavoratori full time diventano poveri, mentre i giovani emigrano in massa per sfuggire a un Paese senza prospettive, cosa fa la sinistra? Si arrovella su trigger warning, linguaggio inclusivo e “genitore 1/genitore 2”. Insegue un’agenda woke che — come denuncia Susan Neiman nel suo La sinistra non è woke. Un antimanifesto — non è sinistra, ma un tradimento culturale dell’universalismo e della giustizia sociale, sostituiti da tribalismi identitari e guerre intestine tra minoranze. Altro che lotta di classe: oggi è guerra delle etichette.
La sinistra italiana ha smarrito ogni contatto con la realtà. Il lavoro, storica bandiera, è stato gettato nel dimenticatoio per inseguire il culto sterile del “politicamente corretto”. Il risultato? Una voragine elettorale e culturale che viene riempita, in tutta Europa, dalle destre reazionarie, sovraniste e post-fasciste. In Italia, la maggioranza parlamentare non ha ancora introdotto un salario minimo — una misura basilare di dignità — eppure i sedicenti progressisti non scendono in piazza, non fanno scioperi generali, non mobilitano il paese.
Quanto ai sindacati, la situazione è forse ancora più sconfortante. Landini scrive accorate lettere ai lavoratori parlando di referendum come “rivolta democratica”, mentre le fabbriche chiudono, i contratti si svuotano, le tutele evaporano. La CGIL assomiglia sempre più a una reliquia, appesa a liturgie stanche e a congressi autoreferenziali, incapace di una visione sul futuro, incapace di parlare ai rider, agli intermittenti, agli stagionali, ai freelance, a tutti quei lavoratori che il Novecento sindacale non ha mai voluto vedere.
Mattarella ha lanciato un segnale: ha parlato della “grande questione salariale”, del nodo demografico, della fuga dei talenti, della dignità ferita. Ma chi lo ascolta? Non certo chi, in nome della “cittadinanza globale”, difende il diritto d’asilo ma dimentica il diritto al salario dignitoso. Non certo chi, invece di tornare nelle fabbriche, preferisce occupare talk show e dibattiti sui pronomi.
Il paradosso è crudele: a tenere viva la questione sociale oggi non sono i partiti di sinistra, ma il Quirinale. Se la sinistra vuole risorgere — come auspica la Neiman — deve smarcarsi dal dogma woke, tornare alle sue radici, e capire che senza pane e lavoro, non c’è né libertà né progresso.