Fragilità strutturali e mancanza di visione: restano i problemi, oltre la retorica della festa

Dopo gli striscioni, le dichiarazioni di rito, i cortei e il concertone, resta la realtà. Una realtà segnata da precarietà, da insicurezze sociali e professionali, da giovani esclusi, da donne relegate ai margini del mercato del lavoro e soprattutto da lavoratori che continuano a morire mentre svolgono il proprio mestiere.

Nonostante la ritualità della Festa dei lavoratori, che ogni anno si ripete uguale a sé stessa, tra parole d’ordine, slogan e celebrazioni, la fotografia dell’occupazione in Italia nel 2025 mostra un volto segnato da profonde fragilità. È un mercato del lavoro attraversato da squilibri strutturali, da un divario generazionale sempre più marcato e da un’incapacità cronica delle istituzioni di affrontare con coraggio e visione le questioni di fondo.

 

Governo, sindacati e imprese: una vecchia commedia

Le celebrazioni del Primo Maggio hanno visto, come ogni anno, la partecipazione di tutti gli attori istituzionali e sociali, ma il copione appare sempre più logoro.

“Il Governo, con la Presidente del Consiglio in prima linea, – dichiara Fabio Desideri, segretario nazionale di Pensiero Popolare Italiano – ha rilanciato i propri dati: aumento degli occupati, crescita dei contratti stabili, incentivi al lavoro autonomo. Tuttavia, questi numeri vengono spesso proposti in modo decontestualizzato, senza un confronto serio con le fonti ufficiali che restituiscono un quadro ben più articolato: l’inflazione resta elevata, il potere d’acquisto continua a erodersi, si moltiplicano le nuove povertà e il mercato del lavoro si conferma sempre più segmentato tra garantiti e precari”.

Confindustria denuncia una fase congiunturale difficile (ph Tyger Lily)

I sindacati, in particolare la CGIL, sembrano in difficoltà nel proporre soluzioni concrete e praticabili, al di là delle pur legittime rivendicazioni. “La voce sempre alta del segretario Maurizio Landini – aggiunge Desideri – fatica a incidere realmente sulla direzione politica del Paese. E il rapporto sempre più stretto con la segreteria del Partito Democratico, oggi attraversato da tensioni interne e carente di una visione unitaria, rischia di compromettere ulteriormente l’efficacia dell’interlocuzione sindacale”.

Dal canto loro, le organizzazioni datoriali, a partire da Confindustria, denunciano una fase congiunturale difficile: produzione industriale in calo, costo del lavoro in crescita, carenza di manodopera qualificata, caro energia, barriere commerciali sempre più penalizzanti per l’export. Ma anche da quel fronte, spesso, manca una proposta lungimirante su come coniugare competitività, innovazione e tutela sociale in un mercato che cambia rapidamente.

 

 

I lavoratori: gli ultimi, saranno… ultimi

In questo scenario, sono proprio i lavoratori a pagare il prezzo più alto. Operai, impiegati, artigiani, addetti della logistica e della sanità, giovani precari e autonomi senza tutele: tutti accomunati da un potere d’acquisto in caduta libera, da carichi fiscali e contributivi sproporzionati e da una crescente insicurezza economica e sociale.

Sempre più famiglie sono costrette a compiere “scelte al ribasso” per far fronte alle difficoltà: tagliano le spese, rinunciano a progetti di vita, si affidano agli anziani (diventati, di fatto, i principali ammortizzatori sociali) per sostenere figli e nipoti. L’Italia invecchia senza rinnovarsi: la denatalità avanza, e i segnali d’allarme sul futuro del sistema previdenziale restano inascoltati.

 

Occupazione sotto la media europea

Secondo i dati ISTAT, aggiornati a marzo 2025, gli occupati sono aumentati di 450.000 unità rispetto all’anno precedente (+1,9%), ma si registra una flessione di 16.000 unità rispetto a febbraio. Il tasso di occupazione si attesta al 63,0%, ancora lontano dalla media europea.

Se da un lato l’aumento dei contratti a tempo indeterminato (+538.000) rappresenta un segnale positivo, dall’altro preoccupa il calo dei contratti a termine (–112.000), che continuano a costituire la principale porta d’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani. Crescono anche gli autonomi (+141.000), ma in molti casi si tratta di partite IVA o di forme mascherate di subordinazione.

Il tasso di disoccupazione giovanile risale al 19,0%, mentre nel Mezzogiorno le donne restano ai margini del mercato del lavoro, con tassi di inattività doppi rispetto a quelli maschili. Sebbene calino gli inattivi (-208.000), il numero degli scoraggiati resta alto, soprattutto tra le over 50.

Sicurezza sul lavoro: nei primi due mesi del 2025 si contano 138 morti (ph Erik Debarre)

Sicurezza sul lavoro: la strage silenziosa

Ma la ferita più grave resta quella della sicurezza sul lavoro. Nei soli primi due mesi del 2025 si contano 138 morti, con un aumento del +16% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un vero e proprio bollettino di guerra che si ripete da anni: nel 2024 l’INAIL ha registrato 1.090 decessi e oltre 589.000 denunce di infortunio. Le malattie professionali denunciate hanno superato quota 88.000, in aumento del 21,6%.

La geografia del rischio attraversa tutto il Paese, senza eccezioni. In Toscana, nei primi quattro mesi del 2025, si sono registrati 21 morti sul lavoro, con un’incidenza di 4,8 decessi per milione di occupati, superiore alla media nazionale di 4,2. Le vittime sono quasi sempre uomini, impiegati nei settori dell’edilizia, dei trasporti e dell’agricoltura: lavoratori spesso impiegati in microimprese fuori dai radar dei controlli, senza adeguata formazione e privi di reali presìdi di sicurezza.

 

Il giorno dopo

Cosa resta, dunque, dopo il Primo Maggio? “Resta un sistema del lavoro sospeso tra fragilità strutturali e assenza di una visione condivisa. Resta una politica spesso più attenta alla narrazione che alla riforma. Resta una rappresentanza sindacale affaticata, una classe imprenditoriale frammentata e una società civile che fatica a ritrovare voce e forza collettiva” conclude Desideri.

Resta, certo, un concertone con buona musica (Elodie, Gabry Ponte, Achille Lauro, Giorgia), ma la sintesi ce la fornisce quella vecchia canzone napoletana, che non è stata cantata sul palco del 1° maggio a San Giovanni, “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdámmoce ‘o passato…”. In altre parole, il primo maggio è passato, i problemi restano e quelli dei lavoratori non sono certo al primo posto.

Ci vediamo alla prossima Festa!

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