Quando le azioni persecutorie, seppur apparentemente innocue, conducono all’isolamento non solo sociale ma anche e soprattutto, professionale.

 

Dal Mondo –  Vi siete mai chiesti cosa si celi dietro a sorrisi fatti di ombre e sussurri agghiaccianti e taglienti?

Anime nere di uomini e donne intimorite, sole e isolate, ignorate, derise, affievolite, portate ad avvertire un peso quale macigno, quasi inesistenti al contesto che li circonda, fantasmi lasciati alla solitudine, ostaggi paralizzati da terrori psicologici.

Stiamo parlando del mobbing, il male occulto all’interno di aziende e organizzazioni lavorative.

Chi attua mobbing viene definito mobber, ossia l’aggressore, persona dalla bassa autostima, con difficiltà a relazionarsi, gelosa e invidiosa, insicura ma competente, altamente scontrosa, fortemente stressata per la responsabilità che il lavoro richiede o dalla paura di perdere lo stesso, ostile, burbera, scostante, intenta a distruggere emotivamente l’altro per farne perdere la credibilità, la dignità, rappresentarla quale fallita, o per il solo piacere di umiliare, controllare e intimidire la sua vittima in modo continuativo e sistematico.

La vittima, è colui/colei che ha innescato nel mobber comportamenti mobilizzanti senza volere, in quei contesti dove competizione e concorrenza sono alla base di una buona riuscita professionale.

L’ambiente lavoro diventa così settario e gli effetti del mobbing, altamente spiacevoli portano la vittima arrabbiata, impotente ai suoi occhi, all’isolamento sociale, ad abbandonare il proprio lavoro costringendosi ad uno stato di disoccupazione e disadattamento.

Nei casi più gravi, quando sfoga la pressione sui familiari, questi inizialmente vicini al dolore, nella continuità si allontanano abbandonandolo a quel destino patito, lasciando che inneschi in sè l’idea e l’azione suicidiaria depressiva.

Secondo dati ISTAT, circa l’8% dei lavoratori ha dichiarato di essere stato vittima di mobbing nell’intero percorso lavorativo con un incidenza maggiore tra le donne, vittime di molestie fisiche o ricatti sessuali.

Sebbene, purtroppo, il mobbing non è considerato reato, la Cassazione ne riconosce il configurarsi di un comportamento dannoso per il lavoratore, sia esso il datore del lavoro stesso o chi ne è alle dipendenze, quindi, collega. In questo l’Art. 612 bis c.p. “Atti persecutori”, quando la vittima si trova in un grave stato di ansia o paura che determinano cambiamenti nelle abitudini del proprio stile di vita.

Ancora, gli Art. 582 c.p. “Lesioni personali colpose”, quando la fragilità emotiva interiore non è più tale ma lede alla salute mentale e l’Art. 571 c.p. “Maltrattamenti in famiglia in contesti parafamiliari”, quando, in quei piccoli contesti lavorativi, laddove in poche parole ci si sente o si è in famiglia, fiducia, rispetto e collaborazione vengono meno.

Gli art. menzionati, prevedono che alle tipiche condotte del mobbing, possono completarsi gli Art. 610 c.p. “Violenza privata”, Art. 612 c.p. “Minaccia”, Art. 609 bis c.p. “Violenza sessuale”, Art. 660 c.p. “Molestia” e Art. 323 “Abuso d’ufficio”.

Le fondamenta sulle quali il baluardo della normativa Costituzionale, si basa, sono invece i seguenti: Art. 2 Cost., poichè la dignità è il presupposto per i diritti inviolabili dell’uomo, Art. 3 Cost., vieta ogni forma di discriminazione al principio di eguaglianza e pari dignità sociale, Art. 4 – 32 e 35 Cost, perchè il lavoro, in tutte le sue forme, non è solo un dovere ma un diritto e tale, anche per la salute, Art. 41, l’iniziativa economica non può essere svolta in conflitti con la sicurezza e la dignità umana.

In quegli ambienti dove l’energia dovrebbe essere entusiasmo, dove la fiducia abbatte ogni barriera, dove emozioni e gratitudine generano abbracci avvolgenti, è fondamentale ricordare l’Art. 13, “Principio di libertà”,  perchè ogni lavoratore ha diritto di esprimersi e decidere liberamente.

Da non dimenticare che il posto di lavoro non è una soggezione ma paradiso di libertà.

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