ROMA – C’è una crisi silenziosa che attraversa le aule dei tribunali e gli uffici giudiziari italiani. Una crisi fatta di volti, di storie e di professionalità lasciate in sospeso. Sono oltre 12.000 i lavoratori precari che negli ultimi anni hanno contribuito in modo fondamentale al funzionamento della giustizia italiana, e che oggi rischiano di essere espulsi dal sistema senza tutele né riconoscimenti. Il Decreto Zangrillo, approvato con l’intento di riorganizzare la pubblica amministrazione, prevede infatti una stabilizzazione parziale, limitata a sole 3.000 unità. Una misura che solleva forti dubbi di equità, razionalità e sostenibilità.

Il contesto: la giustizia italiana tra riforme e emergenza occupazionale

Negli anni recenti, la macchina giudiziaria è stata sottoposta a una duplice pressione: da un lato, l’urgenza di smaltire l’arretrato cronico e velocizzare i procedimenti; dall’altro, la necessità di adeguarsi agli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con un focus sulla digitalizzazione e sull’efficienza organizzativa.

Per rispondere a queste sfide, il Ministero della Giustizia ha varato tra il 2021 e il 2024 tre maxi-concorsi per l’assunzione di personale a tempo determinato. I numeri parlano chiaro:

  • Concorso AUPP 2021: 8.171 posti per Addetti all’Ufficio per il Processo.
  • Concorsi RIPAM 2022 (PNRR): 5.410 posti, tra profili tecnici e amministrativi, sia laureati che diplomati.
  • Concorso AUPP 2024: ulteriori 3.946 posti per potenziare gli Uffici giudiziari.

In totale, quasi 17.500 contratti a termine per sostenere la giustizia. Di questi, al 28 febbraio 2025, risultano effettivamente in servizio circa 11.700 professionisti.

Il DL Zangrillo: una soluzione parziale e opaca

Il Decreto Zangrillo prevede una stabilizzazione condizionata per 3.000 unità:

  • Decorrenza: 1° luglio 2026
  • Requisiti: almeno 12 mesi continuativi di servizio nella qualifica ricoperta, entro il 30 giugno 2026
  • Posti previsti: 2.600 funzionari e 400 assistenti
  • Modalità di selezione: “comparativa”, ma senza criteri ad oggi definiti

Una misura che, invece di risolvere, sembra alimentare incertezza. I lavoratori non conoscono modalità, punteggi, tempistiche né garanzie reali. Si moltiplicano le domande:

  • Perché stabilizzare solo 3.000 su 12.000?
  • In base a quali criteri sarà scelta la platea degli “ammessi”?
  • Quale sarà il destino degli esclusi, nonostante il merito e l’esperienza maturata?

Chi sono davvero questi lavoratori?

Non si tratta di assunzioni improvvisate o clientelari. I precari della giustizia sono professionisti selezionati tramite concorsi pubblici per titoli ed esami, in linea con gli standard del reclutamento nella PA.

  • Gli Addetti all’Ufficio per il Processo svolgono compiti essenziali di studio, ricerca, redazione di atti, supporto alle cancellerie e assistenza diretta ai magistrati. Sono il braccio operativo della riforma Cartabia.
  • I Profili RIPAM, invece, comprendono informatici, contabili, ingegneri, tecnici edilizi e statistici. Tutti indispensabili per realizzare la digitalizzazione e l’ammodernamento delle strutture giudiziarie.

Il loro apporto è stato decisivo per dare continuità operativa al sistema durante anni di transizione normativa, emergenza sanitaria e trasformazione tecnologica.

Un’occasione sprecata?

La limitata stabilizzazione prevista dal Decreto Zangrillo appare non solo ingiusta, ma anche controproducente. Si rischia di disperdere competenze già formate, in grado di garantire standard elevati in termini di efficienza e qualità del servizio. In un sistema giudiziario già fragile, perdere risorse qualificate significa arretrare anziché avanzare.

Inoltre, la mancanza di trasparenza nella definizione delle selezioni alimenta tensioni tra lavoratori e rischia di trasformare una battaglia di giustizia in una guerra tra poveri.

Conclusione: servono visione, trasparenza e coraggio

L’Italia non può permettersi di sprecare questa occasione. L’investimento fatto con il PNRR in capitale umano non può esaurirsi in un orizzonte di due anni. Serve un piano strutturato, che metta al centro il merito, la continuità e la valorizzazione delle competenze acquisite.

Stabilizzare questi lavoratori non è solo una questione occupazionale. È una scelta di giustizia, efficienza e visione del futuro.

 

Di Pasquale Fabozzi

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