Quando l’indifferenza ha il sopravvento…urge rimedio!
Correva l’anno 2018 quando il Dipartimento Attacchi nella persona dell’Avv. Carlo Misasi, indisse un percorso culturale
organico utile ad acquisire un bagaglio di conoscenze, per consentire ai candidati preposti, di realizzare un cammino di
accrescimento dedicato alla conservazione di un patrimonio così importante come quello degli equipaggi di Tradizione.
Una delle prime tappe fu Villa Pignatelli, un’elegante dimora ottocentesca che si trova a pochi passi dal lungomare più bello
del mondo, immersa nel verde di un rigoglioso giardino all’inglese, nel quartiere di Chiaia. Appartenuta a diverse nobili
famiglie, oggi è sede di due sezioni espositive: il Museo Pignatelli Cortès e il Museo delle Carrozze. Ad accoglierci la
Direttrice Dott. Denis Maria Pagano, in collaborazione con la sua Vice Rosanna Naclerio, artefici di un’importante
operazione di ristrutturazione che ha riportato Villa Pignatelli ai fasti ottocenteschi.
Quale storia racchiudono le mura di questa bomboniera ricca di arredi, suppellettili, porcellane, libri antichi, opere d’arte,
carrozze e finimenti, situata nel cuore di Napoli?
A lasciare allo Stato tutto il patrimonio legato a Villa Pignatelli fu, negli anni Cinquanta del Novecento, la principessa Rosa
Fici dei Duchi di Amafi detta Rosina, ultima abitante della splendida dimora neoclassica al numero 200 della Riviera di
Chiaia. Il suo desiderio era che in questo suggestivo luogo si perpetuasse il ricordo del marito Diego Pignatelli, morto nel
1930, a condizione che tutto rimanesse conservato integralmente. Diego Pignatelli era erede unico del duca di Monteleone,
il principe Diego Aragona Pignatelli Cortés, che aveva acquistato una parte del complesso architettonico (giardino incluso)
nel 1867 dal barone e banchiere tedesco Carlo Mayer von Rothschild in seguito alla crisi economica del suo casato e alla
fuga dei Borboni da Napoli, che lui aveva finanziato per lungo tempo.
Villa Pignatelli, o anche Villa Acton Pignatelli, è uno dei rari esempi di casa-museo a Napoli e ricorda, nell’estetica, una
domus pompeiana. Immediatamente alle spalle della Villa Comunale e ai piedi della collina, la Villa è composta da un corpo
principale il cui progetto fu commissionato, nel 1826, dall’Ammiraglio Ferdinando Acton al giovane architetto napoletano
Pietro Valente. Fu dunque abitata, lungo la sua storia, da tre grandi famiglie aristocratiche: gli Acton, i Rothschild e i
Pignatelli. A questi ultimi si devono i lavori determinanti per la residenza e il parco, con i quali assunsero l’aspetto che
hanno ancora oggi. Rosina e Diego Pignatelli, che hanno avuto cinque figli, se ne sono occupati fin dal 1897 (anno del loro
trasferimento nella Villa) rendendola uno dei più eleganti luoghi di ritrovo mondani della Belle Epoque napoletana. Il
suggestivo scenario del parco è completato da una torretta neogotica, uno chalet svizzero e una serra, edificati alla fine
dell’Ottocento. Gli ambienti, oggi, riproducono alla perfezione lo spirito del XIX secolo, come è evidente, per esempio, nel
Salottino pompeiano o nella Sala da ballo: ambienti sontuosi che trasportano l’ospite in un’altra epoca e che rendono la
visita un vero viaggio nel tempo.
Dal vestibolo ovale del pian terreno posto dopo l’entrata in villa dalla facciata posteriore, è visibile al centro della sala un
tripode neoclassico in legno, marmi policromi e pietre dure. Da questo spazio si aprono poi tre accessi grazie ai quali si
accede agli altri ambienti al pian terreno della villa, attraverso le porte sul versante frontale e a sinistra, mentre dalla porta
sul lato di destra si giunge gli ambienti del piano superiore tramite una scala a chiocciola. Ad oriente sono quindi la piccola
sala d’armi dove sono esposti armi ed utensili da caccia e subito dopo si arriva al grande salone delle feste (oggi utilizzato
anche per convegni) e da qui alla sala dell’orchestra; di fronte all’ingresso, sempre nel vestibolo, è invece il salotto Rosso,
punto centrale della villa da cui poi si snodano tutte le altre sale. Al primo piano infine sono presenti alcune pitture
decorative delle stanze, tra cui il tondo raffigurante La primavera di Giacinto Diano, risalente alla fine del ‘700. All’interno
del complesso di villa Pignatelli hanno sede due musei: uno è quello voluto da Rosina Pignatelli nel 1952, il Museo Diego
Aragona Pignatelli Cortés, che ha sede all’interno degli ambienti al pian terreno della villa, dove sono esposti nella loro
collocazione originale gli oggetti posseduti dalla famiglia, l’altro è il Museo delle carrozze di villa Pignatelli, aperto nel 1975
con l’acquisizione di pezzi da collezioni private e che ha sede all’interno delle vecchie scuderie della villa, al pian terreno
della palazzina Rothschild, posta nell’angolo nord-occidentale del parco.
Nato da un’intuizione di Bruno Molajoli, che nel 1960 accolse la donazione della raccolta di vetture che il marchese Mario
d’Alessandro di Civitanova – al quale è intitolato il museo – aveva collezionato nel corso di tutta la vita. Al suo interno sono
esposte trentaquattro carrozze e calessi di produzione italiana, inglese e francese della fine dell’800 ed inizi del ‘900 ed è
corredata da una consistente raccolta di finimenti, morsi e fruste. Sono delle preziose donazioni volte alla famiglia Pignatelli
da parte di nobili europei. Tra i nomi dei donatori spiccano quelli del marchese di Civitanova Mario D’Alessandro, del
marchese Spennati, del conte Dusmet e del conte Leonetti di Santojanni.
Sono ritornato dopo sette anni a Villa Pignatelli con nella mente il ricordo di un luogo prestigioso, lodandone la bellezza ai
miei accompagnatori, aimè nulla di più errato, disordine e incuria regnano ovunque, nei giardini cataste di rami secchi sono
il covo di gatti randagi, la Villa è visitabile solo in piccola parte, nelle scuderie le carrozze non mostrano più i segni delle
cere che le rendevano luccicanti, i cuoii si stanno raggrinzendo e un velo di polvere ha già iniziato a ricoprire il tutto, anche
il custode che in un angolo seduto su una sedia dorme. Nell’attesa che qualcuno nelle sedi amministrative si ricordi di questa
perla gettata nel fango e la faccia ritornare a splendere al sole di Chiaia.
Questo scritto vuole essere un campanello di allarme di una realtà molto diffusa sul nostro territorio, possediamo un
patrimonio che il mondo ci invidia e lo stiamo distruggendo nell’oblio dell’indifferenza.
Fabrizio Canali