A.I.A. ex Ilva si annuncia vecchia e inadeguata: altoforni e cokerie senza decarbonizzazione. La salute sia il faro guida
“La nuova A.I.A. per l’ex Ilva di Taranto risulta già vecchia e inadeguata ancor prima di vedere la luce. Nella migliore ipotesi risulterà “provvisoria”, in attesa di una decarbonizzazione per la quale, nel parere istruttorio, si richiede solo di presentare entro 12 mesi un Piano operativo che indichi le tecnologie individuate e un cronoprogramma di dettaglio. Nella ipotesi peggiore risulterà volta ad accompagnare la lenta agonia di impianti destinati ad estinguersi, come i dinosauri della preistoria, cercando di evitare, per dodici lunghi anni, che nel frattempo provochino danni irreparabili. E la storia dei 14 anni che ci separano dalla prima AIA del 2011 non ispira certo ottimismo” – dichiara Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto.
“Un’A.I.A. forse funzionale a consentire la vendita dell’azienda, ma con lo sguardo rivolto al passato remoto della siderurgia, a mantenere in attività impianti che risalgono al secolo scorso – alcuni sono tra i più vecchi d’Europa – figli di una tecnologia inquinante e climalterante che non ha futuro. Si tratta di impianti obsoleti che devono essere spenti al più presto se, oltre all’abbattimento degli agenti inquinanti, si vogliono davvero perseguire gli obiettivi europei di riduzione del 55% entro il 2030 delle emissioni di anidride carbonica” – continua Lunetta Franco – ” Rammentiamo a tutti che la Unione Europea ha messo a disposizione del territorio di Taranto gli 800 milioni di euro del Just Transition Fund per accompagnare e promuovere una transizione giusta, non certo per il mantenimento dello status quo o per far rimanere in vita impianti che marciano ancora a carbone. Se si vuol continuare a produrre acciaio a Taranto la strada da percorrere è un’altra e Legambiente l’ha indicata da tempo. Occorre sostituire nel più breve tempo possibile, due o tre anni sono sufficienti, altoforni e cokerie con forni elettrici e impianti per la produzione di preridotto a loro servizio. Occorre cominciare a progettare e costruire gli impianti che producano l’idrogeno necessario a permettere una produzione non più climalterante, oltre che più salubre.”
Legambiente ritiene che il processo di decarbonizzazione vada avviato da subito e che la sua tempistica vada fortemente accelerata in modo da pervenire, ben prima del 2030, ad un primo obiettivo, costituito dall’abbandono della produzione a ciclo integrale. Ritiene altresì che vada sviluppato un programma relativo all’utilizzo dell’idrogeno quale agente riducente, sulla scorta di quanto sta già facendo in Svezia H2GREEN STEEL, che prevede di raggiungere entro il 2026 una capacità produttiva di 1,3 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, 2,7 milioni nel 2030 e, a regime, 7 milioni.
“Nel frattempo la tutela della salute deve essere la stella polare che indichi il cammino da seguire. Da quanto riportato nel parere istruttorio conclusivo dell’AIA si desume che l’aggiornamento del parere iniziale reso dall’Istituto Superiore di Sanità -circa la valutazione di rischio sanitario connesso ad una produzione di 6 milioni di tonnellate annue di acciaio e giudicata inadeguata per sottostima- sia strettamente collegato ad alcune integrazioni documentali ricevute ed alla richiesta di una serie di approfondimenti, monitoraggi, ottimizzazioni impiantistiche e gestionali, indicati dallo stesso ISS, volti a prevenire il rischio di danni inaccettabili alla salute, che hanno assunto un carattere prescrittivo e sono stati ritenuti indispensabili dal gruppo istruttore” – aggiunge la presidente di Legambiente Taranto –” Evidentemente i gap evidenziati da ISS nella precedente valutazione non sono stati ancora completamente colmati considerato che la prescrizione 2 impone al Gestore di presentare, improrogabilmente entro 3 mesi dall’emanazione del provvedimento di rinnovo dell’AIA, l’aggiornamento dello studio di valutazione dell’impatto sanitario, integrato con i dati relativi: alle emissioni degli inquinanti NO2 ed SO2 del siderurgico; alle emissioni della centrale termoelettrica AdI Energia S.r.l.; alla valutazione per esposizione cutanea per gli arenili; alle valutazioni degli scenari di esposizione in zone ricreative (parchi, giardini e cortili), e che entro i successivi 30 giorni dal ricevimento dei dati, l’ISS trasmetterà gli esiti delle relative valutazioni all’Autorità competente”.
“”Inoltre il parere istruttorio conclusivo dell’AIA non riporta informazioni circa gli altri rilievi formulati nel primo parere fornito dall’ISS” – continua Lunetta Franco – “Tra l’altro ISS evidenziava che “il Decreto Legislativo 5/2025 indica l’uso nella valutazione sanitaria dell’approccio USEPA che considera un intervallo di accettabilità del rischio cancerogeno tra 1×10-6 e 1×10-4, lasciando al valutatore/gestore dei rischi per la salute la scelta, caso per caso, delle opportune misure di mitigazione applicabili in base al contesto territoriale. Il Gestore, nella documentazione fornita, applica un limite di accettabilità di 1×10-4, che, pur rientrando nell’intervallo dell’approccio utilizzato dalla USEPA, non si considera adeguato nella fattispecie oggetto della valutazione di impatto. Infatti, dato il contesto urbano in cui si trova l’impianto, con particolare riferimento al quartiere Tamburi, con presenza di bambini e altri soggetti vulnerabili, lo stato di salute della popolazione esposta, la concomitante esposizione a molteplici inquinanti, e tenuto conto che il territorio ricade nell’ambito di un SIN, l’approccio del Gestore di riferire la valutazione al limite inferiore (10-4) dell’intervallo indicato da USEPA, in mancanza di piani di mitigazione per ridurre i rischi per la salute, non risulta coerente con le Linee Guida VIS, né con quanto indicato dai documenti USEPA”. Se la tutela della salute deve essere il faro che deve guidare qualunque decisione sul futuro della ex Ilva, allora la scelta di accettabilità per il rischio cancerogeno a nostro avviso dovrebbe essere posta al livello più cautelativo possibile, e cioè 1×10-6.”
“In questo quadro, pensare -come chiede l’azienda- di tagliare con l’accetta le prescrizioni della nuova A.I.A. o prevedere limiti emissivi meno stringenti di quelli indicati nel parere conclusivo del gruppo istruttore è inaccettabile” – conclude Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto – “Come inaccettabile è supporre un utilizzo degli attuali impianti che si protragga per dodici anni o addirittura il rifacimento di AFO 5 e delle batterie 3,4, 10 e 11 delle cokerie. Dalla stampa apprendiamo che l’azienda stima in 1 miliardo il costo della nuova AIA e lo ritiene insostenibile: se non si vogliono investire le risorse necessarie per limitare i rischi di danni inaccettabili alla salute, si autorizzi, nelle more della costruzione dei forni elettrici e dell’impianto per il DRI, una produzione di acciaio inferiore ai 6 milioni di tonnellate/anno, chiedendo a ISS di determinare quanto si possa produrre con investimenti meno rilevanti, ma con tutte le garanzie necessarie per la salute di cittadini e lavoratori, in un territorio che ha già pagato un prezzo altissimo alla strategicità della produzione di acciaio”. (fonte legambiente Taranto)