Nel 1972 il mare di Riace ha restituito due straordinari colossi in bronzo, divenuti in breve tempo una delle scoperte archeologiche più importanti del XX secolo. Le statue, raffiguranti due figure maschili nude, una più giovane e atletica, l’altra più matura e imponente, sono avvolte ancora oggi da un alone di mistero sulla loro origine, identità e funzione. Nel tempo, le ipotesi sulla loro provenienza si sono moltiplicate, spaziando tra Grecia continentale, Magna Grecia, Sicilia e botteghe locali.
Secondo una lettura tradizionale, le statue A e B rappresenterebbero rispettivamente Tideo e Anfiarao, eroi della mitologia greca legati alla spedizione dei Sette a Tebe. Paolo Moreno, storico dell’arte, nel 1999 ha attribuito la statua A alla cerchia di Fidia, e la statua B ad Alcmene o Policleto, situandole intorno al V secolo a.C. Le somiglianze stilistiche con opere del tempio di Zeus a Olimpia e l’equilibrio formale richiamano la scuola peloponnesiaca classica.
Un’interessante ipotesi alternativa è stata avanzata dall’archeologo Salvatore Ciancio, che ha collegato i bronzi alla città siciliana di Leontinoi, attiva e fiorente nel V secolo a.C. Secondo Ciancio, le statue sarebbero opere di Pitagora di Leontini, celebre bronzista menzionato da Plinio il Vecchio come il primo a riprodurre nei metalli dettagli anatomici come vene, muscolatura e capelli con assoluto realismo. Tale teoria si basa anche sugli scritti di Sebastiano Pisano Baudo, che difese il primato artistico di Pitagora Leontino rispetto al noto Pitagora di Reggio. Inoltre, Leontinoi vantava all’epoca scuole di retorica di Gorgia e di medicina di Erodico che Platone ricordo dettagliatamente nel suo “Gorgia”. Ecco perchè avrebbero potuto contribuire alla precisione anatomica delle statue, forse destinati a celebrare atleti o eroi locali. Plinio il Vecchio offriva alla storia un contributo sul Pitagora lentinese: “L’avere primo fra tutti saputo condurre ad una notevole finezza i metalli e i marmi, rilevando nella statua i nervi, le vene ed imitando al naturale i capelli.”
Recentemente, è emersa l’ipotesi siracusana, sostenuta dal dr Anselmo Madeddu e Rosolino Cirrincione. Attraverso analisi geochimiche delle terre di saldatura presenti all’interno delle statue, è stata rilevata una corrispondenza sorprendente con i sedimenti prelevati presso la foce del fiume Anapo, nei pressi di Siracusa. Questo suggerirebbe che le statue potrebbero essere state assemblate o esposte in quell’area, prima di essere trasportate via mare e perdute nei pressi di Riace.
Le statue quindi potrebbero essere state costruite a pezzi in Grecia e poi assemblate a Siracusa. Come sostenuto da due archeologi americani negli anni Ottanta. Robert Ross Holloway, scrisse in una pubblicazione che “la scoperta degli Eroi a Riace non fu la scoperta di un carico antico bensì del nascondiglio di un’operazione clandestina fatta da ladri di opere d’arte dopo il ritrovamento da parte di sub in acque siciliane”. 
Persistono diversi elementi che rendono la teoria almeno plausibile sul piano storico e culturale.
Nel V secolo a.C., sotto i tiranni come Gelone e Ierone I, Siracusa fu il principale centro culturale e militare della Magna Grecia ed aveva botteghe artigianali molto sviluppate, anche nella fusione del bronzo, con committenti potenti in grado di ordinare statue di grandi dimensioni e pregio. La città aretusea ospitava santuari monumentali come quello di Zeus Eleutherios e di Atena, dove grandi statue votive di bronzo, erano probabilmente presenti. I due Bronzi potrebbero rappresentare Eroi o generali divinizzati a Siracusa,  dedicati a un santuario locale oppure donati come ex voto dopo una vittoria come quella nella celebre Battaglia di Imera (480 a.C.), combattuta da Gelone.
Il punto del ritrovamento dei bronzi, nelle acque calabresi, è perfettamente compatibile con una rotta marittima da Siracusa verso Roma: potrebbero essere Opere siracusane in transito per l’Italia, destinate al collezionismo romano, saccheggiate.
Tuttavia, a queste teorie si oppongono le voci critiche di studiosi più legati all’approccio stilistico e tecnico che ritiene i Bronzi appartenere inequivocabilmente alla grande scultura greca continentale, in particolare alla scuola peloponnesiaca. Le tecniche di fusione, l’impostazione anatomica e la tipologia dei materiali bronzei richiamano il lavoro di botteghe attive ad Argo o Atene più che a Siracusa o Leontinoi. Inoltre, non esistono prove archeologiche o epigrafiche, iscrizione o fonte letteraria che colleghino direttamente queste statue a contesti siciliani.
Le analisi stilistiche e morfologiche condotte da esperti, Paolo Moreno, M. Ridgway,  riconducono le statue alla scultura peloponnesiaca, probabilmente legata alla scuola di Mirone e Alcmene.
Un altro elemento critico riguarda l’interpretazione delle analisi geochimiche: alcuni studiosi mettono in dubbio che la corrispondenza tra sedimenti sia sufficiente per determinare il luogo di assemblaggio delle statue, data la possibile contaminazione dei materiali e la difficoltà di escludere altri siti con composizione simile.
Rimane infine l’ipotesi, oggi ancora prevalente tra gli accademici, che i Bronzi siano opere greche portate in Italia come bottino durante la conquista romana e perdute durante un trasporto via mare. Il mistero resta fitto, ma ogni nuova ipotesi aggiunge complessità e fascino alla storia di due capolavori sopravvissuti per secoli sul fondo del mare.
Il loro fascino, custodito dal mare per più di duemila anni, continua ad affascinare studiosi e visitatori, simbolo non solo di perfezione artistica, ma anche di un enigma storico ancora irrisolto.
Dott.ssa Melinda Miceli Critico d’arte 

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