Markus Krienke
Seguire Francesco, ma non come Papa, e proprio in questo modo in maniera autentica, ossia con la necessaria libertà di mettere accenti nuovi e importanti, ecco perché la scelta del nome da parte del nuovo Papa Robert Francis Prevost, 69 anni, è programmatico. San Francesco stesso aveva salutato Fratel Leone, il suo “seguace di seconda ora” (ed infatti Prevost è stato nominato cardinale nel 2023) in questa lettera del 1224, conservata a Spoleto, con le parole: «Fratello Leone, il tuo fratello Francesco ti augura salute e pace! … qualunque modo di piacere a Dio e di seguire le sue orme e la sua povertà, ti sembri il migliore, ebbene, fallo con la benedizione del Signore e con la mia obbedienza».
Per individuare quale potrebbe essere questo “modo” di individuare il messaggio di Dio per il mondo, lo sguardo si volge non per caso sul Papa Leone precedente, ossia il tredicesimo, che nell’anno 1891 scrisse la Rerum novarum per posizionare la Dottrina sociale della Chiesa – cioè la preoccupazione della Chiesa per la “questione operaia” e sociale dell’epoca – nel mezzo tra gli estremi del “liberalismo” e del “socialismo”. Sarà dunque un Pontificato che segue la chiara opzione per la giustizia sociale di Papa Francesco, ma con accenti diversi? Nel suo discorso sulla Loggia di San Pietro – la prima volta che un nuovo Papa legge da appunti che si era velocemente scritto – i riferimenti evidenti a Papa Francesco comunque non sono mancati, e dunque la chiara intenzione di proseguire il cammino dell’impegno per la Pace, per una Chiesa aperta a tutti e per la sinodalità.
E anche se Trump ha sottolineato subito che si tratta del «primo Papa americano», Prevost o Leone XIV stesso ha voluto ricordare non il suo passato a Chicago ma in Peru (dove è stato vescovo a Chiclayo), parlando anche in lingua spagnola. La volontà, però, di sanare le fratture nell’episcopato americano, di lanciare un forte messaggio contro Trump – proprio con un Papa “americano” –, di chiudere definitivamente il capitolo buio degli abusi che pesa sulla Chiesa statunitense, e di assicurarsi così l’aiuto di quest’ultima nel sanare le casse vaticane lasciate più che vuote da Papa Francesco, sono evidenti motivi che hanno determinato i cardinali a convergere in tempi record su questo nuovo Papa.
E certamente c’è anche Leone Magno che grazie a un incontro personale con Attila nel 452 fermò gli Unni, e di cui Raffaello ha dipinto un affresco nelle Stanze Vaticane. Fu l’anno 1514, e Papa fu un altro Leone, il decimo, che dovette affrontare le sfide della Riforma e dunque del mondo moderno che la Chiesa rinascimentale non comprese nelle sue vere dimensioni. Tornando a Leone Magno, però, egli è entrato nella storia della Chiesa anche come un grande risanatore di fronti dottrinali nella Chiesa, quando nel Concilio di Calcedonia riuscì a imporre la soluzione del problema delle “due nature” in Gesù Cristo, di cui un’eresia ne aveva negata quella umana. Fa dunque suo questo messaggio dell’“umanità” di Cristo, il nuovo Papa Leone XIV, che anche in questo modo continua l’operato di Papa Francesco.
Certamente non è solo il nome – per quanto sia programmatico – a “fare il Papa”. Anche il suo essere missionario – infatti ha sottolineato la sua identità di appartenere alla congregazione degli agostiniani – e la sua specializzazione in diritto canonico, lo caratterizzano come uno che da un lato si mette tutto nell’eredità del suo predecessore di comprendere la “Chiesa in uscita”, ma dall’altro vuole prestare attenzione anche ai meccanismi istituzionali della stessa. Certamente, il suo essere prefetto del Dicastero per i vescovi dal 2023, avrà contribuito a farlo conoscere tra i cardinali, e chissà se Papa Francesco, proprio con questa nomina, non abbia lasciato il suo segno per la determinazione del suo successore. Non avrà pronunciato le stesse parole di San Francesco a Fratel Leone, ma immaginarcelo proprio in questo momento, sembra il modo migliore di interpretare l’inizio del nuovo Pontificato.