Cosa influenza la politica estera del Tycoon?
Di Raffaele Gaggioli
Secondo i vari analisti, “America First” (“Prima l’America”) ed i suoi interessi economici/personali sono i due elementi che influenzano principalmente la politica estera di Donald Trump. L’attuale Presidente americano non sarebbe guidato da alcun principio ideologico, ma considera la diplomazia internazionale solo come un altro strumento per espandere l’influenza americana e, soprattutto, proteggere il suo patrimonio e la sua reputazione.
Il suo recente viaggio diplomatico in Medio Oriente sembra confermare questa sua tendenza. Per decenni, la linea politica statunitense in Medio Oriente è stata improntata sul supporto quasi incondizionato per Israele e per i governi ostili al fondamentalismo islamico e all’Iran. Nel corso del suo secondo mandato, Trump sembra però aver abbandonato entrambi questi fondamenti.
Nuove priorità
Durante la sua visita nella regione, avvenuta tra il 13 e il 15 maggio, il tycoon newyorkese ha infatti ignorato i tradizionali alleati americani mediorientali (Egitto, Israele e Giordania) in favore dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e del Qatar, nazioni decisamente più importanti per gli interessi economici delle sue aziende e di quelle dei suoi alleati.
In effetti, lo scopo del viaggio sembra essere stato soprattutto ottenere nuovi accordi commerciali senza quasi perseguire alcun accordo politico. Trump è stato infatti accompagnato in questo viaggio dai capitani di industria statunitensi piuttosto che dal suo segretario di Stato o da altri funzionari governativi. Nel corso del suo viaggio, Trump ha attaccato le precedenti politiche dei suoi predecessori. Da un lato, ha criticato i neo-conservatori del Partito repubblicano per il loro supporto per i conflitti in Medio Oriente, in particolar modo la guerra in Iraq. Dall’altro lato, ha anche assicurato i Sauditi che la sua amministrazione non ha intenzione di interferire nei loro affari interni, in particolar modo per quanto riguarda le loro numerose violazioni dei diritti umani.
Secondo le prime dichiarazioni di Trump, il viaggio sarebbe stato un successo. I tre Paesi avrebbero accettato di stabilire una nuova partnership economica con gli Stati Uniti per oltre 1.000 miliardi di dollari, 600 dei quali verrebbero dalla sola Arabia Saudita. La veridicità di questa cifra è stata però messa in dubbio da molti analisti, in quanto superiore all’intero prodotto interno lordo dei tre Paesi.
Più di un critico di Trump ha poi sottolineato che questi accordi di fatto costituiscono un conflitto di interessi: non solo la maggior parte di questi investimenti sono a beneficio delle aziende di Trump, ma il Qatar gli ha anche donato un Boeing 747-8 dal valore di circa 400 milioni di dollari. L’aereo sostituirà l’Air Force One come aereo presidenziale e rimarrà in possesso di Trump anche dopo la fine del suo secondo mandato.
Secondo i sostenitori di Trump, questi accordi sono comunque il modo migliore per arginare la crescente influenza cinese nella regione. Più gli interessi economici arabi coincidono con quelli americani, più è improbabile che Pechino riuscirà ad imporre la sua linea politica in Medio Oriente.
Il prezzo richiesto dai Sauditi
Come in qualsiasi accordo d’affari, anche Trump ha però dovuto offrire qualcosa in cambio ai tre Paesi come dimostrato da due recenti cambi nella sua politica estera. Il primo cambio è stato il riconoscimento a livello diplomatico del nuovo governo siriano di Ahmad al-Shara’ e la rimozione delle sanzioni contro il Paese arabo. Al-Shara’ è un ex affiliato dell’Isis, responsabile per l’uccisione di numerosi soldati americani, e sulla sua testa pende una taglia da 10 milioni di dollari. Tuttavia, Trump ha deciso di seppellire l’ascia di guerra nei suoi confronti, in quanto è un alleato dei Sauditi contro l’Iran.
Il secondo cambio è la critica contro le operazioni militari di Israele in Gaza. Nonostante una parte consistente dei sostenitori di Trump sia costituita dai cosiddetti “Cristiani sionisti” (evangelisti convinti che Israele debba riconquistare i territori indicati nel Vecchio Testamento per dare inizio al Giorno del Giudizio), il tycoon si è espresso contro la continuazione della guerra nella Striscia di Gaza. Secondo la nuova proposta di Trump, Tel Aviv dovrebbe ritirare le sue truppe dalla Striscia per permettere agli Stati Uniti di prenderne il controllo e trasformare la regione in “una zona di libertà”.
Le alleanze che cambiano
Le dichiarazioni di Trump e le sue iniziative diplomatiche a favore della Siria hanno colto il primo ministro israeliano Netanyahu completamente di sorpresa. Il politico aveva precedentemente sostenuto la rielezione del tycoon nella speranza di ottenere maggiori aiuti militari da Washington, ma ora il suo ex alleato lo sta anche accusando di stare sfruttando gli aiuti economici statunitensi.
Peggio ancora, Trump sembra disposto ad adottare un tono più conciliante anche nei confronti dell’Iran. Se da un lato la sua retorica contro la teocrazia sciita rimane bellicosa, dall’altro lato si è dichiarato disposto a rimuovere le sanzioni contro Teheran se il Paese rinuncerà a qualsiasi progetto per la creazione di un suo arsenale atomico.
Secondo persone a lui vicine, Trump spera che la nuova situazione in Medio Oriente aiuti l’economia americana e la sua reputazione personale, al punto da potersi candidare per il Premio Nobel della Pace. Ego e soldi sono quindi le chiavi necessarie per comprendere le sue scelte.