Quando la casa non è più un luogo sicuro: dati e impatto su vittime e minori
Il 2 maggio, a San Secondo Parmense, un uomo ha accoltellato la moglie nella loro abitazione, mentre i figli minori assistevano impauriti. L’intervento tempestivo delle forze dell’ordine ha permesso di soccorrere la donna e avviare le indagini.
Sempre a maggio, un uomo di 45 anni è stato processato per aver aggredito l’ex compagna di 42 anni davanti al figlio di cinque. Le indagini hanno rivelato un anno di maltrattamenti, sia fisici che verbali, spesso alla presenza del bambino.
Effetti sulle vittime e sui figli
Si tratta di episodi recenti di cronaca, non casi isolati, ma parte di un fenomeno più ampio che interessa migliaia di famiglie in Italia. Eventi focalizzati nell’ambito della campagna di sensibilizzazione “2025, Anno del rispetto e della parità” promossa dall’Associazione no-profit ICJLDS.
La violenza colpisce anche i figli: nel 57% dei casi i figli sono minorenni (ph PXL)
Secondo gli ultimi dati ISTAT, la violenza domestica è una delle forme più gravi e frequenti di violenza contro le donne in Italia. La casa, che dovrebbe essere il luogo più sicuro, si trasforma in un contesto di sopraffazione e paura. Il 68% delle vittime ha dichiarato che gli episodi di violenza si sono verificati proprio all’interno delle mura domestiche. Nella maggior parte dei casi, gli autori di questi abusi sono uomini legati da una relazione affettiva con la vittima: il 50% delle donne ha indicato il partner come responsabile, il 21% l’ex partner, l’11% un altro familiare.
La violenza non è quasi mai un episodio isolato. Più della metà delle vittime (51,3%) ha subito abusi per anni, vivendo in uno stato di soggezione e ansia costante. Le conseguenze sono profonde e durature: il 59,1% delle donne ha riportato un forte disagio emotivo, legato a un progressivo indebolimento della propria autostima e autonomia.
Questa spirale di violenza coinvolge anche i figli. Tra le donne maltrattate, oltre la metà (55,1%) è madre e nella maggior parte dei casi (57%) i figli sono minorenni. Il 27,2% di queste madri ha dichiarato che i figli sono stati vittime dirette di violenza, mentre nel 35,2% dei casi hanno assistito agli episodi, riportando spesso gravi conseguenze psicologiche.
Le criticità del sistema
Eppure, la reazione delle vittime è ancora fortemente ostacolata. Le 33 mila chiamate al numero antiviolenza 1522 registrate nel 2024 raccontano una forte richiesta di aiuto spesso inascoltata. Il 72,9% delle donne che subisce violenza non denuncia, per paura di ritorsioni, sfiducia, dipendenza economica o mancanza di supporto.

Le donne chiedono aiuto, ma il sistema spesso non risponde (ph PXL)
Sul piano legislativo, l’Italia ha introdotto con la legge n. 69/2019 (Codice Rosso) misure per accelerare l’ascolto delle vittime e l’allontanamento immediato degli aggressori. Tuttavia, l’efficacia di queste norme è limitata da problemi organizzativi. La carenza di personale nelle procure causa ritardi nei processi, la formazione delle forze dell’ordine sulle dinamiche della violenza risulta spesso insufficiente, con conseguenti approcci non sempre adeguati. Le donne denunciano inoltre difficoltà nell’accesso a un’assistenza coordinata e a informazioni chiare sui servizi disponibili.
La rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio è disomogenea sul territorio, con una carenza strutturale soprattutto nel Sud Italia, dove mancano centri, personale qualificato e risorse. Questo limita i servizi di supporto all’autonomia delle vittime, elemento essenziale per interrompere il ciclo della violenza. Anche le iniziative di prevenzione e sensibilizzazione sono frammentate: nelle scuole i progetti sono sporadici e discontinui, mentre i percorsi per gli autori di violenza sono marginali, poco diffusi e poco monitorati.
Le risposte necessarie
Per affrontare la complessità della violenza domestica serve un approccio multidisciplinare e coordinato. È necessario incrementare le risorse umane e materiali, con più psicologi e assistenti sociali specializzati, come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Allo stesso tempo, va rafforzata l’integrazione tra forze dell’ordine, tribunali, servizi sociali, centri antiviolenza e strutture sanitarie, attraverso protocolli condivisi e una comunicazione efficace, seguendo le indicazioni della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, che promuove una risposta coordinata e sistemica alla violenza di genere.

Non basta punire, serve prevenire e sostenere: Convenzione di Istanbul (ph PXL)
L’accesso ai servizi di supporto va semplificato e ampliato, con più case rifugio e centri di ascolto distribuiti sul territorio, oltre a un sostegno economico stabile per le vittime, come evidenziato dall’ISTAT nei suoi rapporti annuali sulla violenza contro le donne.
La formazione continua di magistrati, forze dell’ordine e personale sanitario è fondamentale per un approccio sensibile e competente, esigenza ribadita anche dal Ministero della Giustizia italiano e da associazioni come D.i.Re (Donne in rete contro la violenza).
Infine, è necessario aggiornare la normativa vigente e istituire organismi indipendenti per monitorare l’efficacia delle misure e migliorare il sistema, garantendo così una protezione reale e prevenendo la violenza domestica, in linea con le raccomandazioni del Consiglio d’Europa e dell’OMS.