Dall’ambientalismo demolito alle passerelle di Stato, due presidenti celebrano potere e consenso tra proclami negazionisti, strategie estetiche e servilismo aristocratico. Ma dietro la facciata, si cela la museruola del potere e l’usura della verità.
Dalla crociata anti-climatica del tycoon americano al teatro dorato della diplomazia monegasca, il potere mostra il suo volto bifronte tra misticismo, lacchè e una Francia sempre più “statunitense”.
“Il potere logora, soprattutto chi non ce l’ha”, diceva un cinico della Prima Repubblica. Ma il potere logora anche chi se lo tiene stretto con la forza del culto e l’artificio della narrazione. Così si consuma la realtà ai piedi di leader tanto osannati quanto odiati, protetti da corti servili, consolati da passerelle imperiali e propagande estetizzanti. Donald Trump ed Emmanuel Macron appaiono oggi come due facce di una stessa medaglia imperiale, forgiata non sulla virtù, ma sul bisogno di consenso e sul controllo dell’immaginario collettivo. Due teatranti di potere, distanti nelle forme, ma speculari nella sostanza.
Anelare alla recta ratio, mentre si affonda nel caos
Cosa resta della recta ratio, la “retta ragione” aristotelica e tomista, nella politica contemporanea? Poco o nulla, a giudicare dai recenti articoli che ritraggono l’uno intento a sferrare una crociata anti-climatica, l’altro a brindare tra broccati e onorificenze nel Palazzo di Monaco. Il ritorno di Trump alla presidenza segna l’apoteosi della negazione della scienza: nel bel mezzo dell’emergenza ambientale, egli dichiara guerra non solo agli accordi climatici, ma persino alla semantica (“da crisi climatica a disabilità”), come se le parole fossero virus da estirpare anziché strumenti di comprensione.
Macron, dal canto suo, si rifugia nel cerimoniale, nel simbolismo barocco, nell’arte dell’epifania regale. Il suo viaggio al Rocher è un esercizio di sacralizzazione del potere, dove ogni gesto – dal bacio sulla fronte all’erede di Alberto ai fiori tra principesse – è coreografato per costruire un’immagine di legittimità imperiale. Ma la recta ratio è assente: sostituita da estetica, comunicazione e controllo del messaggio.
Leaders più odiati che amati?
Trump è detestato da una parte consistente dell’intellighenzia e della scienza, amato visceralmente da una base che crede alla nostalgia dell’America che trivella, fuma carbone e disprezza il “wokeism”. Macron, sebbene intellettualmente più raffinato, è percepito da molti francesi come distante, elitario, prigioniero di una grandeur post-napoleonica che non scalda più i cuori dei gilets jaunes o delle banlieues.
Entrambi incarnano una leadership verticale, autoritaria, paternalista. Sono più detestati che amati, ma sopravvivono grazie a un’infrastruttura di narrazione potentissima. Uno agita la bandiera della libertà economica per mascherare l’ecocidio; l’altro, quella della cultura e della diplomazia per velare l’erosione del tessuto democratico.
La “malafemmina” di turno
C’è sempre un bersaglio designato, una “malafemmina” simbolica da mettere alla gogna. Per Trump è l’ambientalismo, “colpevole” di soffocare la libertà d’impresa. Per Macron, è spesso la contestazione sociale: studenti, pensionati, attivisti, sindacalisti trattati come disturbatori dell’ordine imperiale.
Come nella commedia napoletana, la “malafemmina” va esorcizzata in pubblico, perché così si riconferma il controllo del maschio-dominante, del potere verticale. Così, mentre Trump cancella i fondi per la transizione ecologica, Macron sorride in smoking a fianco dei Grimaldi, celebrando la continuità dinastica e la pacificazione dei “confini fatti di fiori”.
I lacchè: il potere si specchia nei suoi servitori
Attorno a Trump ruotano i fedelissimi dell’industria fossile, think tank negazionisti e media complici. Macron è invece circondato da una corte mediatica e politica che sa quando inchinarsi e quando applaudire. Al ricevimento monegasco, tra Delphine Arnault e Christine Lagarde, si coglie la sinergia perfetta tra élite economica, potere culturale e narrazione pubblica.
Il lacchè moderno è elegante, colto, ma profondamente complice. Egli non regge lo scettro: lo pulisce, lo lucida, lo giustifica. E nel frattempo, il potere si perpetua, impermeabile alle critiche.
Il potere logora? Solo chi ha coscienza
Trump pare un uomo logorato dall’ossessione del controllo e dal bisogno di imporsi. Il suo gesto più grave, oscurare il sito della NOAA che mostrava i livelli di CO₂, non è solo un atto anti-scientifico: è la dichiarazione simbolica di chi vuol spegnere la realtà per poterla manipolare a piacere.
Macron sembra meno logorato, ma più immerso in un ritualismo difensivo. La visita a Monaco non è solo diplomazia: è un’autocelebrazione che serve a ribadire il primato dell’ordine sul dissenso, della forma sul contenuto. Il potere, in entrambi, è ossessione identitaria e proiezione mitologica: logora chi osa opporvisi, ma consuma lentamente anche chi lo esercita senza confronto.
Museruola al cane che abbaia troppo
Il cane che abbaia è il cittadino informato, il ricercatore che denuncia, l’attivista che protesta. A lui viene messa la museruola: con il licenziamento di 800 scienziati negli USA, o con la repressione selettiva del dissenso in Francia. Il problema non è il problema, ma chi lo nomina.
In tal senso, Trump e Macron convergono nella strategia del silenzio costruito. Il primo zittisce la scienza, il secondo anestetizza il conflitto sociale con eventi-spettacolo e sorrisi da cerimonia.
Francia statunitense o Stati Uniti francesi?
Il parallelo è più che simbolico: gli USA di Trump si avvicinano a una logica regale, mentre la Francia di Macron flirta con una verticalità da repubblica imperiale. Entrambi giocano su una retorica del primato: l’uno dell’economia, l’altro della civiltà. Ma il risultato è lo stesso: una nazione divisa, un popolo spettatore, un potere celebrato e impenetrabile.
Quando Macron intitola un monte sottomarino a un principe, compie un gesto da imperatore; quando Trump urla “Drill, baby, drill” mentre spegne la NOAA, fa altrettanto. I loro troni sono diversi, ma la logica è la stessa.
Il misticismo che copre le nefandezze
L’ambientalismo di Trump è negato con un misticismo distorto: “restituiamo libertà alla crescita”. Il cerimoniale di Macron è misticismo laico, estetizzato, che copre i compromessi geopolitici e la fatica della coesione sociale.
In entrambi i casi, il potere si avvolge in un’aura salvifica: Trump come liberatore dell’impresa, Macron come difensore dell’Europa colta e raffinata. Ma la verità è nei numeri: CO₂ che sale, salari stagnanti, disuguaglianze che crescono, verità che muore in silenzio.
CONCLUSIONE
Il potere contemporaneo non ha più bisogno del consenso razionale: ha imparato a costruire fedeltà attraverso il culto e la narrazione. Trump e Macron, così diversi eppure così vicini, sono specchi deformanti di un tempo che ha perso la retta ragione, ha zittito la scienza e si rifugia nel teatro del dominio. E noi, spettatori attoniti, applaudiamo, o ci voltiamo altrove.