Dalla fontana di Trevi alla NATO, passando per Springsteen e Bradley Cooper: come l’Italia moltiplica la spesa militare, mentre il PD canta “Born to Run” sotto palco.

“Io pago!” sbraitava Totò, indimenticabile, davanti all’assurdo fiscale del dopoguerra. Oggi, l’eco del Principe della Risata risuona tra le stanze di Palazzo Chigi e le commissioni bilancio, dove si calcolano 165 (o forse 220?) miliardi di euro da stanziare in dieci anni per accontentare la NATO. Il conto? Alla romana, e senza scontrino: dilazionato, travestito, occultato tra Guardia Costiera e cybersicurezza. Ma alla fine: pagheremo noi.

La scena, tragicomica, ha il sapore della parsimonia genovese, quella che in tempo di austerità imponeva di spegnere la luce anche al sole. Qui però si ragiona su come triplicare la spesa per le Forze Armate fingendo di non muovere un euro dalle priorità sociali. Un capolavoro di equilibrismo contabile. Come chiamarlo, se non la politica del colibrì? Quel battito d’ali frenetico che fa sembrare tutto in movimento… ma senza mai spostarsi davvero.

Intanto, i duri del quartierino, i falchi della sicurezza a ogni costo, fanno la voce grossa in favore della “resilienza civile”: porti blindati, reti elettriche sotto scorta, droni patriottici e missili a km zero. La Meloni giura che la spesa in difesa sarà un volano di crescita economica: peccato che il 60% del budget serva solo a pagare stipendi, e molte armi vengano acquistate all’estero. Più che “volano”, sembra un bananone al cioccolato che si scioglie al primo sole dell’analisi.

Nel frattempo, nel teatro d’opposizione, va in scena “I riformisti ammutoliti”, tragedia in tre atti del Partito Democratico. Dopo il flop retorico a Budapest, Elly Schlein si aggrappa con forza al suo ruolo di regista unica del campo largo, minacciando: “Attenti, vi depenno dai listini bloccati”. Mentre la Picierno si gode Bruxelles come fosse una spa, i soliti centristi – Guerini, Franceschini e compagnia cantante – fanno l’ennesimo balletto tra mozioni e finti dissensi. Abbaiano, ma non mordono. Tutti critici, nessuno martire. Troppa paura di finire fuori scena.

Così la segretaria impugna il microfono e attacca Meloni, accusandola di silenzi imperdonabili sulle libertà democratiche. “Queste destre vogliono cancellare le differenze!” proclama, tra una bandiera arcobaleno e una stilettata a Ursula von der Leyen. Ma il rischio è che tutto resti una danza delle intenzioni, in cui Schlein recita da protagonista, mentre il coro moderato borbotta tra i banchi come gatti infastiditi da un temporale.

Ma a San Siro, una sera di fine giugno, il copione è cambiato. Per una notte, Schlein ha messo in stand-by guerre interne e NATO per cantare a squarciagola Bruce Springsteen. Sottopalco, stretta alla compagna Paola Belloni, si è unita a una folla danzante in cui spuntavano Gigi Hadid, Bradley Cooper, Olivia Wilde e Tommaso Paradiso. Niente discorsi, niente mozioni, solo Born to Run e ginocchia doloranti. La Belloni scherza su Instagram: “Bruce e Steve, 150 anni in due… e io a 36 sono distrutta e sto abbracciata al Voltaren”.

Una tregua rock-democratica nel mezzo del caos, una fuga simbolica tra i tamburi del Boss. Ma il rock’n’roll non è evasione, è militanza emotiva. E Schlein lo sa: suona la chitarra, canta i Cranberries alla Festa dell’Unità, si diverte con Brunori al Circo Massimo, balla gli Articolo 31 al Forum. Perché anche il campo largo, in fondo, ha bisogno di una colonna sonora.

Nel dietro le quinte della politica, intanto, si continua a fantasticare su come inserire porti, migranti e cyberspazio nella lista della spesa militare, rendendo la guerra uno scenario espanso, ibrido, utile a giustificare tutto. Anche l’incoerenza. L’idea è quella di un conflitto permanente a bassa visibilità, un abbonamento NATO “all inclusive”, dove ogni cosa può diventare “difesa”, persino l’acquisto dei bicchieri di plastica al Senato.

E si arriva infine al bagno nella Fontana di Trevi. No, non quello dei turisti, ma quello simbolico della politica: un’immersione rituale nella finzione della promessa, sperando che la moneta lanciata soddisfi la NATO e risparmi le periferie. Si promette crescita, sicurezza, onore internazionale. Ma a furia di evocare colibrì mimetici e falchi contabili, il rischio è di restare impigliati nella rete dell’autoinganno.

Il Pd implode silenziosamente, la Meloni decolla nei sondaggi come un drone israeliano e i cittadini – quelli che aspettano ancora un treno in orario o un medico al pronto soccorso – guardano attoniti. Ma tranquilli: non è una crisi, è solo un’altra strategia integrata per la difesa del futuro.

Con i fiori nei cannoni.
E la banana al cioccolato nel DEF.
Mentre sotto palco, il Boss canta: “No retreat, baby, no surrender”.

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