All’Aquila, per partecipare ad un convegno su “I Comuni e la sfida del Governo di area vasta“, Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione, è durissimo con chi avrebbe cerato ad arte polemiche pretestuose sulla Strategia Nazionale Aree Interne. Polemiche innescate e divampate soprattutto a causa di una frase contenuta nel documento Snai, che parlava di “spopolamento irreversibile” delle aree interne.

«Io non ho mai detto questa frase. Chi non sa leggere il Piano, è meglio che lo legga – ribadisce Foti -. È stato votato all’unanimità non dal Governo, ma da una Cabina di regia nella quale c’erano Regioni, Province, Comuni e comunità montane. Non è scritto così, ma vi è una citazione di due studi. Uno del Censis, e l’altro del Cnel nel quale uno studioso, nominato dal presidente della Repubblica, ha sviluppato questa tesi». La Strategia Nazionale per le Aree Interne definisce come Aree Interne (A.I.) quei comuni distanti dai servizi essenziali, in particolare, servizi scolastici, sanitari e di trasporto
ferroviario.  La A.I. vengono identificate sulla base di un indicatore di accessibilità calcolato in termini di minuti di percorrenza rispetto al Polo (centro di offerta di servizi) più prossimo.  L’ipotesi portante è dunque quella che identifica in prima istanza la natura di Area Interna nella ”lontananza” dai centri di offerta di servizi essenziali. Definita nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) dell’anno 2014 dall’Accordo di Partenariato 2014- 2020, costituisce un esempio di politica territoriale diretta al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione residente in territori a rischio
marginalizzazione. Nel 2020, con il nuovo Accordo di Partenariato, si è proceduto a un aggiornamento della Mappa mantenendo fermi gli aspetti di metodo, ma considerando dati di base sulla presenza dei servizi aggiornati a fine 2019 e tecniche di calcolo delle distanze più evolute/precise. In base alla nuova mappatura relativa al ciclo di programmazione 2021-2027 della SNAI, le Aree interne
comprendono oltre 4mila Comuni, il 48,5% del totale. Si tratta di territori fragili nei quali i fenomeni
demografici, come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono dei territori a causa delle migrazioni, sono esacerbati rispetto al resto del Paese e la cui analisi può essere d’ausilio come strumento di programmazione. Al 1° gennaio 2024, nelle Aree interne risiedono circa 13 milioni e 300mila individui, circa un quarto della popolazione residente in Italia (Prospetto 1); nei Centri, invece, la popolazione è pari a 45 milioni e 700mila individui (dati provvisori). In particolare, risiedono nei Comuni Intermedi 8 milioni di persone (pari al 13,6% del totale dei residenti in Italia), nei Comuni Periferici 4,6 milioni (7,8%) e, infine, nei Comuni Ultraperiferici, i più svantaggiati in termini di accessibilità ai servizi, 700mila individui (1,2%). “C’è un programma molto interessante – ha sottolineato il ministro Foti – che sta per essere sviluppato, soprattutto nel sud. Penso che le aree individuate siano fondamentali per lo sviluppo del Mezzogiorno: di circa 300 milioni ad oggi abbiamo licenziato circa 260 milioni con 193 progetti che dovranno necessariamente decollare. Il tema di tutte le città medie è determinante, perché oggi vi è la possibilità di un protagonismo di area vasta, sono quelle città che collegano quelle competenze tolte alle Province e nelle quali la vivibilità è decisamente superiore rispetto alla media nazionale”. Inevitabile un riferimento alle polemiche su irreversibilità dello spopolamento delle aree interne: “Non ho mai detto la frase spopolamento irreversibile, è una calunnia. Chi non sa leggere il piano è meglio che lo legga. È stato votato all’unanimità non dal governo ma da una cabina di regia nella quale c’erano Regioni, Province, Comuni e Comunità montane. Nel piano non c’è scritto così, vi è una citazione di due studi: uno del Censis e l’altro Cnel”.

ministro Foti ha anche parlato dei fondi per i comuni che “non mancano”: “Per i Comuni i fondi ci sono perché la programmazione 2014/2020, faccio presente che siamo nel 2025, non è mai stata conclusa. Vi erano a disposizione 1.200 milioni, ci sono oltre 5.000 progetti per 700 milioni e sono stati spesi ad oggi 450 milioni di euro, questo nella programmazione che avrebbe avuto chiudere il 2020”.
“Per quanto riguarda la programmazione 2021-2027 i fondi ci sono. Ovviamente – ha continuato il ministro – c’è un’impostazione diversa perché vedendo com’è andata la prima programmazione si è pensato innanzitutto di responsabilizzare in questa attività le Regioni, anche come coordinamento, ma soprattutto di individuare per ogni area interna un ente capofila che sia responsabile del progetto d’area. Almeno l’accordo quadro che viene sottoscritto avrà un punto di riferimento stabile e al quale ci si potrà rivolgere non solo per l’avanzamento, non solo per il cronoprogramma, ma anche le eventuali ragioni dei ritardi. I progetti devono vertere su quelle che sono le realtà delle diverse aree interne. I tre settori di intervento principale sono quelli dell’istruzione della salute e delle infrastrutture e dei trasporti”.

“Nell’agenda istituzionale di Anci le città medie hanno un rilievo significativo, una funzione strategica: sono indispensabili per creare una connessione molto stretta tra l’area vasta e le altre aree di influenza territoriale che ruotano intorno al Comune capoluogo”.  Ha detto il presidente dell’Anci Gaetano Manfredi

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