La parabola politica di Elly Schlein e Pina Picierno a confronto, tra costruzione elitaria e militanza popolare, identità liquide e appartenenze territoriali. Nel Pd convivono figure agli antipodi per stile, curriculum e radicamento. Un confronto aspro ma inevitabile.
Nel Partito Democratico italiano esiste un contrasto sempre più evidente, quasi un’incompatibilità genetica tra due modelli di leadership e rappresentanza. Due nomi emergono in modo paradigmatico: Elly Schlein, attuale segretaria nazionale del partito, e Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo. La dialettica negativa tra le loro biografie rivela non solo differenze personali, ma la frattura strutturale di un partito lacerato tra vocazioni elitarie e radici popolari.
La genesi: cosmopolitismo contro territorialità
Elly Schlein nasce a Lugano, cittadina svizzera, da madre italiana e padre americano di origine ebraica ucraina. Pina Picierno, invece, viene da Santa Maria Capua Vetere, Campania profonda, figlia della provincia meridionale e delle sue battaglie concrete. Se Schlein studia negli Stati Uniti e si forma in ambienti universitari progressisti tra Bologna e Chicago, Picierno frequenta l’università a Salerno, in un contesto ben più locale e verosimilmente meno esposto al glamour intellettuale delle accademie internazionali.
La prima è figlia di un mondo fluido, post-nazionale, che si muove a suo agio tra le lingue e le città globali. La seconda è figlia della terra e dei comizi, cresciuta politicamente nella sezione e nel territorio, immersa nei problemi quotidiani del Sud.
Il metodo: narcisismo performativo vs politica di partito
Schlein arriva alla ribalta nazionale con una narrazione altamente mediatica: Obama, diritti civili, attivismo, “io sono tutto e il contrario di tutto”. Si proclama queer, femminista, ecologista, anticapitalista, e al contempo guida un partito erede di un compromesso tra ex democristiani e postcomunisti. Il suo metodo è quello della rappresentazione: l’identità come performance, il consenso come affiliazione emozionale.
Picierno è invece il prodotto classico della politica di partito: aderisce alla Margherita e poi al Partito Democratico, passa per la scuola politica cattolico-popolare, entra giovane in Parlamento nel 2008 e si fa le ossa in commissioni, intergruppi, organismi europei. Non urla, non divide. Resiste. È una figura meno “instagrammabile”, ma molto più comprensibile per chi conosce i meccanismi tradizionali della militanza e della costruzione del consenso.
Il linguaggio: codici elitari vs comunicazione diretta
Schlein parla un linguaggio ibrido, spesso astratto, a metà tra l’attivismo woke e il glossario accademico postmoderno. Il suo discorso è denso di parole d’ordine internazionali, ma povero di riferimenti comprensibili all’elettore medio. Picierno, al contrario, utilizza un linguaggio semplice, lineare, che si muove tra l’impegno per le donne, la legalità, il lavoro, la cultura.
È qui che si compie la frattura: Schlein appare sempre più come un corpo estraneo nella società italiana, incapace di creare connessioni durature con l’elettorato popolare. Picierno è radicata, persino scontata, ma familiare.
L’orizzonte: instabilità progettuale vs coerenza progressiva
L’impressione è che Schlein abbia costruito un’identità su frammenti contraddittori: è contro il sistema ma ne guida uno dei principali partiti, è antisistema ma sistemica, è femminista ma spesso evocata da figure maschili per ragioni di “modernità” politica. Il suo percorso è segnato da rotture, abbandoni (si pensi all’uscita dal PD nel 2015 e al rientro da candidata alla segreteria), e una costante instabilità progettuale.
Picierno è coerente, anche se meno affascinante: il suo europeismo è convinto ma non sbandierato, il suo femminismo è pragmatico, il suo posizionamento politico costante e riconoscibile. È una dirigente “classica”, ma proprio per questo ancora funzionale a una parte dell’elettorato disilluso dalla politica-spettacolo.
Conclusione: la contraddizione che logora il PD
Il confronto tra Schlein e Picierno non è solo personale, ma emblema di una contraddizione irrisolta nel Partito Democratico: la tensione tra il desiderio di rappresentare le nuove soggettività fluide e il bisogno di restare ancorati alla società concreta, fatta di pensionati, lavoratori, famiglie, periferie. Finché queste due anime continueranno a convivere senza una sintesi autentica, il partito sarà destinato a oscillare, prigioniero di una dialettica negativa che non produce avanzamento, ma solo paralisi.
In questo scontro, Elly Schlein può anche vincere i congressi, ma Pina Picierno continua a rappresentare l’unica via ancora leggibile da un’Italia profonda che chiede risposte, non slogan.