Pietruccio Montalbetti racconta con dolcezza la storia di un’amicizia che ha attraversato la musica, la vita e le stagioni del cuore
Pietruccio Montalbetti
C’è una musica che non si sente, ma si riconosce. Vibra tra le righe di un ricordo, sussurra tra le pagine di un libro, si posa lieve tra le corde della memoria. È la musica che accompagna Pietruccio Montalbetti in “Storia di due amici e dei Dik Dik”, autobiografia intima e luminosa in cui la nostalgia non è tristezza, ma gratitudine. E dove il nome di Lucio, sì, quel Lucio – è una parola tenera e piena come una canzone che non smette mai di suonare.
“Quando sento la parola amicizia, mi viene in mente solo un nome: Lucio.” Così scrive Montalbetti, con voce lieve e profonda. Non è il mito che racconta, non è l’icona. È l’amico. Il compagno di inverni e di prime canzoni, l’anima silenziosa che parlava attraverso gli accordi, i silenzi, la presenza. “Lui suonava e cantava cose sue, alcune acerbe, altre sorprendenti. Mi chiese un parere e io, forse con un pizzico di benevolenza, gli dissi che erano belle. Ma una mi colpì davvero. Decisi di inciderla nel nostro primo disco. Era “Se rimani con me”. E fu il primo brano a portare ufficialmente la firma di Lucio Battisti.”
Pietruccio Montalbetti nasce a Milano nel 1941. Nella sua storia scorrono strade piene di vita, oratori che diventano sale prove, piccoli miracoli quotidiani come un parroco che scrive una lettera alla Ricordi o una madre che veglia sulle note tra le mura della parrocchia. Sono gli anni in cui tutto sembra possibile: basta crederci, basta suonare, basta partire.
Con i Dik Dik, prima “I Dreamers”, poi protagonisti di un’epoca, firma brani che sono diventati specchi dell’Italia che cambiava: Sognando la California, Il vento, L’isola di Wight, Senza luce. Canzoni che raccontavano il viaggio e il sogno, la ribellione e l’attesa. La musica come speranza, come atto d’amore.
Ma Pietruccio è anche altro. È il viaggiatore solitario che ha attraversato il mondo, dalla Colombia all’Ecuador, dall’India al Sahara, alla ricerca di silenzi, storie e orizzonti. Sempre da solo, mai con la chitarra, perché la musica era già dentro.
Ha già pubblicato numerosi libri: Sognando la California, scalando il Kilimangiaro (2011), Io e Lucio Battisti (2013), Settanta a settemila. Una sfida senza limiti di età (2014), I ragazzi della via Stendhal (2017), Il mistero della bicicletta abbandonata (2021).
E ora, nel 2025, Storia di due amici e dei Dik Dik, forse il suo titolo più personale, sincero, disarmato. In questo libro, un piccolo gioiello in prosa, la musica si fa parola, la parola si fa carezza. E Lucio diventa specchio dell’amico che ciascuno vorrebbe avere: “In quella prima giornata passata insieme mi raccontò di suo nonno, che gli aveva costruito il primo flauto con le sue mani. Poi si addormentò, come fanno i bambini piccoli. Era un’anima bella. Non potevi non volergli bene.” La prefazione di Marco Buticchi sottolinea questa meraviglia: “Quelle canzoni sono leve invisibili, capaci di sollevare mondi interiori.” E questo libro lo è altrettanto. Perché quando Pietruccio scrive, lo fa senza paura. Lo fa con gli occhi pieni di malinconia felice. Lo fa come si suonano le canzoni più vere: con semplicità, e con amore.
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