Un dossier tecnico demolisce l’Accordo di Programma ex Ilva e propone un’alternativa concreta: rigenerazione ambientale, riconversione occupazionale e giustizia sociale come basi per uscire dal lock-in fossile.

 

Taranto non è una zona neutra. Da oltre sessant’anni è il simbolo di un modello industriale che ha scambiato lavoro con salute, progresso con sacrificio ambientale. Ora che l’ennesimo Accordo di Programma rilancia il ciclo a carbone fino al 2039 e investe sul gas, un gruppo di giovani professionisti del territorio ha deciso di cambiare la narrazione. Il risultato è un dossier tecnico che non si limita a criticare: propone un’alternativa. Il suo nome è T.R.A.C.C.E. – Taranto Rigenerata Attraverso Cultura, Comunità ed Ecologia.

Il documento, redatto da esponenti del Comitato per la difesa del territorio jonico- WWF Taranto- Movimento giovanile terra Jonica, con il contributo di tecnici, attivisti e cittadini, smonta punto per punto le promesse della nuova riconversione industriale dell’ex Ilva. Nessuna decarbonizzazione reale, nessuna riduzione produttiva, nessun piano occupazionale credibile: il dossier dimostra come l’intero impianto poggi su un lock-in fossile strutturale, aggravato da infrastrutture come rigassificatori e dissalatori.

L’analisi dei costi sanitari, sociali ed ecosistemici – basata su parametri ufficiali europei come il VSL (Valore Statistico della Vita) e il VOLY (Value of a Life Year) – è impietosa: oltre 9,7 miliardi di euro entro il 2039. Una cifra che rende evidente quanto l’inerzia politica ed economica sia non solo insostenibile ecologicamente, ma anche economicamente.

Ma il cuore del documento non è la denuncia. È la proposta. T.R.A.C.C.E. non è solo un acronimo: è un piano integrato e modulare che mira a sostituire il paradigma siderurgico con un modello rigenerativo, fondato su cinque pilastri operativi:

  1. Bonifiche ambientali come leva occupazionale e infrastrutturale;
  2. Manifattura sostenibile e bioeconomia locale;
  3. Formazione retribuita e Academy della rigenerazione per la riconversione delle competenze;
  4. Cultura industriale, turismo e spazi civici per il rilancio identitario;
  5. Servizi ecosistemici e infrastrutture verdi al posto delle servitù inquinanti.

Al centro, il progetto StillWorks, ispirato ai casi di successo di Bethlehem (SteelStacks) e Pittsburgh (Mill 19): un’area rigenerata da 100 ettari, capace di creare nuovi posti di lavoro, attraverso cantieri verdi, distretti culturali e filiere circolari.

«Abbiamo raccolto dati, confrontato normative europee, analizzato scenari industriali, ma soprattutto abbiamo ascoltato chi vive da anni il paradosso di una città sacrificabile. Con T.R.A.C.C.E. dimostriamo che un’altra via è possibile: realistica, finanziabile, socialmente utile».

Il programma prevede anche strumenti fiscali innovativi, come l’emissione di un “BTP Taranto 2035”, meccanismi di TIF (Tax Increment Financing) per reinvestire le entrate fiscali localmente e una governance partecipata tra enti, imprese, università e comunità.

Il dossier è stato già trasmesso al sindaco di Taranto, ai sindaci dell’arco jonico, al Presidente della Provincia e della Regione Puglia. È stata inoltre avviata una interlocuzione internazionale con i responsabili del progetto SteelStacks a Bethlehem (PA, USA), per avviare un confronto diretto e raccogliere un feedback sulla proposta italiana.

La proposta è ora sul tavolo. La domanda a cui Taranto e il Paese devono rispondere è semplice e profonda: vogliamo ancora commissariare il futuro o finalmente costruirlo insieme?

 

Dott.ssa Gladys Spiliopoulos

In rappresentanza delle realtà associative coinvolte

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