La cosa spaventosa di questo Paese, ma di tutto l’Occidente è la scomparsa totale del senso di responsabilità, sia personale che collettivo: non si riconoscono mai gli errori, ma si cerca di incolpare altri o in mancanza di tale appiglio ci si rivolge ad entità astratte, al caso, al destino, alla cattiva sorte o in estremis al balbettio intellettuale. Ricordo come se fosse ieri Romano Prodi con maglionazzi  di una lana così grossa che tanto sarebbe valso mettersi addosso direttamente il vello di pecora, mentre andava al Centro San Domenico, sfiorando l’arca di un glossatore a mala pena visibile con la nebbia fitta. Allora ero appena laureato e lavoravo (si fa per dire)  all’istituto di estetica di Luciano Anceschi, che la nascita del Dams e l’arrivo di Umberto Eco, aveva appena liberato di un po’ di pretendenti, rendendo forse disponibile un sentiero accidentato verso la carriera accademica, mente Prodi ovviamente più in età, era già pienamente dentro una precoce carriera universitaria grazie a Beniamino Andreatta e alla Dc A quel tempo mai avrei immaginato che quella figura nella nebbia degli inverni bolognesi, ma agghindato come un mamutones, sarebbe stato, insieme a Berlusconi, Draghi, D’Alema, Andreatta, Ciampi  e compagnia, la rovina del Paese.

Anzi è stato insieme all’accoppiata Andreatta – Ciampi protagonisti del divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro, il maggior becchino d’Italia. Son ricorso a un po’ di ricordi perché io di economia ne so poco , giusto qualcosa di Aristotele, le lezioni di Ovidio Capitani sulla nascita del capitalismo, Max Weber con la sua etica protestante, ovviamente Marx che poi rimandava necessariamente ad Adam Smith verso il passato e al marginalismo verso il futuro. Ecco perché quasi vent’anni più avanti non compresi il significato della moneta unica che mi apparve come una cosa buona e giusta, portata avanti da Prodi che era diventato  a tutti gli effetti il paladino dell’euro. Solo quando questa moneta cominciò effettivamente  a circolare mi diedi dello scemo per non aver capito che non si trattava di una vera divisa unica, sorretta da una banca di ultima istanza, ma che il tutto non era altro che una trappola nella quale erano caduti tutti o magar avevano voluto cadere. L’euro era soltanto una gabola tedesca per rimanere al vertice dell’economia europea non era difficile capirlo: la Germania ha sempre avuto una struttura economica orientata alle esportazioni che nel mondo anglosassone è definita  con  l’espressione “beggar your neighbor”, ovvero “impoverire il tuo vicino”. Quando un paese decide  che le esportazioni devono essere la forza trainante della propria economia, farà tutto il possibile per rendere i suoi beni più competitivi a scapito degli altri. Ora però la Germania mercantilistica, frutto della sua cultura protestante ( e qui siano a Weber)  aveva un grande problema ovvero il tasso di cambio del marco così forte da impedire un significativo aumento di esportazioni e che per giunta la esponeva alla competizione di Paesi industriali con monete meno forti e cioè alla concorrenza principalmente dell’Italia il Paese più industrializzato del continente dopo la stessa Germania, che con la lira rendeva molto appetibili i suoi prodotti.

Per questo motivo, la classe politica tedesca ha sempre cercato di creare unioni monetarie, limitare la capacità di altri paesi di svalutare le proprie valute e rendere i propri beni più economici:  negli anni ’70 e ’80 nacque il famigerato SME (Sistema Monetario Europeo), un’unione di tassi di cambio fissi che può essere descritta come il precursore dell’Euro. Questo sistema prevedeva una fascia di flessibilità massima del 2,25% per tutti i membri, ad eccezione di Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, che potevano invece svalutare la propria moneta rispetto alle altre valute europee fino al 6%. Evidentemente i ceti politici di questi Paesi volevano difendere le economie nazionali, ma a Berlino quel 6 per cento di oscillazione della lira non andava proprio giù: tenere gli altri paesi, soprattutto l’Italia, in questa gabbia è stato l’obiettivo fin dall’inizio della Germania mercantilista. L’obiettivo venne raggiunto quando la distruzione della politica italiana  innescata da mani pulite e lo spazio acquisito così dagli euristi, rese possibile imporre un marco tedesco mascherato chiamato euro grazie al quale i vari Paesi  perdevano la capacità di creare moneta e dunque la capacità di svalutarla.

Possibile che Prodi, la suffragetta di Maastricht,  non l’abbia capito? E ancora adesso non lo capisca o magari fa solo finta di non capirlo? Però da tutto questo ci sta salvando la Russia:  la vicenda ucraina nella quale la Germania si è impegnata a cercare la propria rovina come assurdo burattino degli Usa, ha colpito come una mazza l’economia tedesca che si basava sulle risorse energetiche a basso costo fornite dalla Russia. Ora la Germania si trova ad affrontare una costante emorragia delle sue esportazioni, con dati che descrivono lo stato terribile in cui si trova l’economia del paese: solo lo scorso dicembre le esportazioni sono diminuite del 5,5% rispetto al mese precedente, e il trend negativo continuerà.

A questo punto siamo arrivati alla fine della storia: se l’euro è stato creato dalla Germania il crollo dell’economia tedesca farà crollare l’euro. Ma qui bisogna intendersi: questa moneta è stata espressamente concepita per consentire alla Germania di mantenere una posizione dominante sui mercati, ma ciò che diversi osservatori non sono riusciti a capire negli ultimi anni è che il principale beneficiario di questo processo non è il popolo tedesco, ma l’élite industriale tedesca. L’euro è una moneta che deprime i salari, perché se non si riesce a svalutare il tasso di cambio, tutto il peso della competitività ricadrà sui salari dei lavoratori, che sono le prime vittime di questo diabolico meccanismo. Ora tutto questo non ha più molto senso, l’euro non è utile più a nessuno nemmeno alla Germania, mentre  l’intero edificio di Bruxelles sembra un enorme e fragile castello di carte, dove bisogna solo cercare di capire quale pezzo cadrà per primo e causerà il crollo generale. Altro che provvedimenti presi perché lo vuole l’Europa: tra un po’ l’Europa non vorrà nemmeno se stessa.