Il disordine è una costante delle nostre esperienze sia nel mondo naturale sia nella società che costruiamo. Noi esseri umani, le nostre vite e le classi socio-spaziali che popoliamo sono sistemi complessi. Edgar Morin afferma che “la vita non è una sostanza, ma un fenomeno di auto-eco-organizzazione straordinariamente complesso che produce autonomia”.

L’articolo del premio Nobel Anderson determinò la nascita della scienza della complessità. “More is different” (la moltitudine è differente) critica il riduzionismo, l’approccio cartesiano, affermando che il comportamento di una moltitudine, di un insieme di elementi, sia diverso dal comportamento dei singoli.

L’approccio del riduzionismo cerca di comprendere i sistemi complessi riducendoli alle loro componenti più semplici. In sociologia ed economia significa analizzare i comportamenti sociali o economici complessi attraverso l’analisi dei comportamenti dei singoli agenti o dei fattori che si rapportano tra loro, ritenendo che la sola analisi delle singole parti possa portare alla comprensione dell’intero sistema nella sua interezza.

I sistemi complessi combinano tra loro una moltitudine di elementi in un contesto che è sempre aleatorio, un tetragramma secondo Morin di ordine, disordine, interazione o organizzazione, in cui nessuno di tali principi prevale sugli altri ma procedono tutti progredendo in parallelo. Può sembrare contraddittorio, ma la realtà di Morin è l’assenza di un “sapere totale”, nonostante la costante ricerca di “semplificazioni” che hanno sì portato a scoperte fondamentali nelle varie scienze, giungendo tuttavia alla scoperta della “estrema complessità microfisica; la particella non è una tessera iniziale, bensì una frontiera su una complessità forse inconcepibile”.

Si definiscono fenomeni emergenti, comportamenti emergenti quando prevale l’elemento dell’azione, quelli non riconducibili alle proprietà, alle azioni degli elementi singoli che li compongono. Ad esempio l’acqua non è semplicemente la somma di idrogeno e ossigeno così come una folla non si comporta come la somma di individui singoli. Nei fenomeni emergenti si ha un comportamento coeso degli elementi, come la mano invisibile di un direttore d’orchestra che non c’è, un’auto-organizzazione da indagare, che appunto emerge in modo non necessariamente prevedibile, con un modello non visibile se non ex-post. Pensiamo ad uno stormo di uccelli, il cui comportamento non può essere spiegato dal volo di un singolo uccello ma dal volo di tutti insieme ciascuno nella sua traiettoria.

La gestione della complessità interviene in quanto i comportamenti emergenti e le interazioni tra le parti non possono essere spiegati e gestiti attraverso la sola analisi delle singole componenti.

Ad esempio quando un gruppo sociale deve affrontare il cambiamento e la conseguente assenza di ordine, si trova in una situazione di anomia, le norme interne sono venute meno, sono meno definite o sono diventate meno chiare per ognuno, lasciando gli individui senza una guida comportamentale. Questo può generare disordine e incertezza. Pertanto in condizioni di anomia le previsioni diventano difficili. Il riduzionismo può semplificare la situazione analizzando i problemi, riducendoli ai loro elementi più basilari, per individuare delle soluzioni. Ma tale approccio ignora le interazioni tra individui, elementi, gruppi che contribuiscono al quadro più ampio, rendendo le soluzioni riduzionistiche inadeguate.

La gestione della complessità, riconoscendo ciò, si concentra su strategie come l’adattabilità, la resilienza e l’incorporazione di feedback per navigare a vista nell’incertezza. Anziché semplificare la complessità per gestirla, la gestione della complessità accetta l’incertezza, l’indeterminatezza, cercando di creare sistemi in grado di adattarsi e perpetuarsi, anche in condizioni di potenziale anomia, quindi occorre “uno sforzo intellettuale di intuizioni e nuove idee”.

Il management, essendo una scienza sociale, indaga un sistema complesso. Un problema in un sistema organizzativo semplice può essere affrontato ricorrendo a soluzioni già sperimentate come efficaci. Se il sistema è complicato il problema va risolto con il metodo analitico, quindi dopo l’analisi si passa alla pianificazione e all’implementazione di quanto pianificato e al monitoraggio dei risultati, quindi si agisce di conseguenza, il classico ciclo PDCA (Plan-do-check-act).

Se il sistema è complesso, cioè hanno rilevanza le relazioni tra le parti, l’approccio è differente, in quanto i fenomeni sono sì dinamici, ma il modello di evoluzione emerge nel corso del fenomeno, quindi la definizione, possibile ex-post, fa venir meno la fase di pianificazione, occorre procedere con azione-apprendimento-adattamento costante. L’azione deve essere reattiva.

Se il sistema è caotico, con dinamiche non prevedibili e difficilmente definibili, anche la fase di apprendimento viene meno e si può avere solo lo schema di azione e adattamento, continui, sino al permanere del caos nella dinamica del sistema, quindi una pronta reattività.

Ma anche la reattività, ha una sua base: per gestire la complessità, il caos, occorra essere ad un livello superiore degli stessi. Si richiede pertanto un approccio differente, non più programmatico, per il quale si richiederebbe un ambiente stabile, ripetizione, certezza, ma un approccio “strategico” per gestire l’inatteso, il che non è elementare.

In molte discipline, quali psicologia, gestione organizzativa, si riconosce che per gestire situazioni complesse è necessario sviluppare un pensiero multidimensionale che sia flessibile, adattabile.  Quindi vedere oltre il dualismo del nero e del bianco, della destra e della sinistra, accettare l’incertezza, essere a proprio agio con il fatto che non tutto può essere previsto e controllato e che le soluzioni possono dover evolvere nel tempo.

Quindi essere oltre il caos stesso, avere una mente più complessa, aiuta a vedere le connessioni tra concetti apparentemente disconnessi e a sviluppare una comprensione olistica dei problemi. Occorre sicuramente allontanarsi dal principio dell’ineluttabilità, cioè invece di cercare risposte definitive occorre imparare ad essere a proprio agio con l’incertezza e l’ambiguità.

La capacità di affrontare la complessità e il caos è essenziale nel cambiamento organizzativo, nella gestione delle crisi e nella politica pubblica. Inoltre osserviamo come la soluzione ai problemi complessi aziendali, di politica e economici emerga dalla condivisione di idee e dall’interazione tra “decisori” con diverse competenze e punti di vista, dotati di tale pensiero multidimensionale.

Rammentiamo come il programma del Recovery Plan europeo si sia affermato come una soluzione strategica nuova in riposta alla crisi caotica innescata dalla pandemia da SARS-Cov_2, innestandosi nel Green Deal. La attuale crisi innescata dagli eventi bellici chiede con urgenza un ulteriore intervento nella logica della gestione di un sistema sempre più caotico.

Il “pensiero complesso”, pur non risolvendo la complessità e il caos, è fondamentale per individuare le strategie da adottare e da adattare.

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