Mi sono abituato o per meglio dire rassegnato a sentirmi chiamare caro anziché signore anche da persone mai conosciute, in qualsiasi negozio del quartiere dove abito a Roma. Nel forno dove mi reco alle volte, la padrona mi ha detto che il “caro” è più amichevole, e mi chiama caro appena entro e la saluto, mi chiama caro quando mi comunica quanto le devo, e mi chiama caro quando la saluto nuovamente e sto per uscire dal negozio. Ci ho fatto l’abitudine. Mi sono rassegnato. Forse realmente le sarò un po’ caro. Chissà.
Stessa cosa avviene nella pasticceria di un quartiere attiguo al mio, dove una volta mi recavo spesso, attratto dalle squisite brioche. Ma in quel locale le commesse mi conoscono da anni, e il “caro” è più comprensibile. Da una di loro un giorno mi sono sentito persino chiamare amore.
Mi ci sono abituato. Rassegnato. L’altra mattina, però, il comportamento di una nuova commessa mai vista prima, un po’ mi ha stupito, ma non tanto a dire il vero. Non mi ha chiamato caro e neppure amore.  Mentre seduto al tavolo mi gustavo una gigantesca brioche con ricotta e gocce di cioccolato, mi ha sorriso da dietro il banco incrociando il mio sguardo. Poi, passandomi vicino per recarsi a prendere della roba nel retrobottega, mi ha detto: “Ciao bello!”. Passando nuovamente mi ha regalato un altro sorriso. Ed infine, la terza volta che mi è passata vicino mi ha dato un amichevole colpetto sulla spalla. Che pensare? Niente di strano. E’ stato il suo modo di mostrare simpatia per uno sconosciuto che forse le ricordava il nonno. O il bisnonno?

Renato Pierri  
ph pixabay

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