Racconto di Yari Lepre Marrani

VI

Nel pieno di un improvviso e allucinato marasma e di una tragica confusione che aveva invasato la sua fragile mente, Peter non ragionava più e nulla si sarebbe potuto più fare per salvarlo. Era completamente impazzito. Le fiamme stavano divorando il piano interrato e giunsero nelle aule chiuse della facoltà.

I ragazzi e le ragazze iniziarono a gridare e a dimenarsi non appena videro il fuoco che faceva il suo ingresso nelle aule con una virulenza ed un’aggressività spaventose, con una forza che non lasciava alcuna speranza di vita. I giovani erano circa 100 nel piano – 1, divisi in due aule. Uno di loro, bloccato assieme agli altri dal divampare delle fiamme e poi travolto da un asse che gli cadde sulla schiena, poco prima di perdere i sensi gridò “Per noi è finita! Siamo lontani dalle uscite e imprigionati nell’interrato. Non riusciremo a salvarci tutti. È la fine!”. Fu un grido profetico: gran parte dei giovani e dei professori che si trovavano nel piano -1 dell’Università Bicocca non riuscirono a salvarsi e restarono chiusi nelle loro aule ad aspettare la fine poiché la benzina versata da Peter era stata tanta, il fuoco aveva aggredito tutto e tutti senza possibilità di fuga.

Quei poveri diavoli andavano incontro ad una morte per asfissia e congestione polmonare. Peter aveva scatenato l’inferno e lo aveva scatenato in piena e cosciente consapevolezza mentale. Il fuoco stava salendo anche al primo piano, raggiunse le caldaie e i caloriferi, ci furono esplosioni una di seguito all’altra e le grida dei giovani che non potevano uscire dalle aule erano tremende, disperate, cariche di quell’angoscia che si è soliti provare innanzi alla probabilità di morire asfissiati, chiusi come scorpioni in una cella sotterranea da cui non si può uscire: erano le grida che Peter sentiva nella sua mente da tanto tempo, erano orrore e disperazione. Le fiamme uccisero anche il prof. Scandia quando cercò di aprire la porta d’ingresso dell’aula per salvarsi tentando di scappare con l’ascensore. Era stato ucciso da una vampata di calore e dal fuoco che aveva iniziato a divorargli giacca e pantaloni prima di deturpargli il volto.

Molti ragazzi cercarono di fuggire da quell’inferno. Tentarono invano di scappare al fuoco e a quel fumo omicida ma Peter aveva calcolato tutto e aveva capito che iniziare l’incendio da giù gli avrebbe dato più libertà di movimento e più vittime perché la fuga sarebbe stata per loro quasi impossibile. E nessuno, nemmeno le guardie e i custodi che ormai impazzivano invano con gli estintori tra le mani, nessuno si accorse che dietro il fuoco ci fosse la mano omicida di un giovane uomo. Ma non era finita. Mentre le fiamme divoravano giovani e meno giovani, distruggevano tutto il piano interrato, salivano e si propagavano al piano primo per la benzina che Peter aveva versato nel bagno accanto alle scale; mentre esplosioni e disastri si sommavano a morti per asfissia e soffocamento, perché divorati dal fuoco nel tentativo di scappare dall’interrato; mentre le fiamme si propagavano in tutto l’ateneo, fuori e dentro le sue grosse aule, Peter doveva ora concludere il suo piano verso se stesso: eliminarsi tra le fiamme. Ancora nessuno lo aveva identificato nell’inferno che si era creato ed aveva ancora un po’ di benzina e si era mantenuto astutamente ancora libero di muoversi e correre su e giù. Era giunta l’ultima fase del piano.

Nessuno si accorse di lui mentre,  appiccato il fuoco ai muri antistanti le aule a destra degli ingressi, prese uno degli ascensori che ancora potevano essere utilizzati e salì all’ultimo piano dell’edificio U6. L’allarme generale era scattato con una furia virulenta, il fuoco divampava con una voracità incredibile e terrificante e le guardie, gli usceri, i custodi, tutti avevano fatto appena in tempo ad avvisare i pompieri e cercavano di usare gli estintori alla meglio ma il fuoco era troppo aggressivo e molti ne furono travolti. Fuori giunsero almeno sei volanti della polizia. Peter uscì sereno dall’ascensore all’ultimo piano e vide una folla terrorizzata che correva per le scale mobili: correva, si scontrava, urlava, cercava di scappare alle fiamme e alla morte.

Quando Peter uscì dall’ascensore c’era un enorme trambusto e poco dopo tutti si erano affrettati ad abbandonare l’edificio in fiamme non appena avevano saputo dell’allarme causato dal terribile incendio doloso. Le fiamme salivano, i morti e i feriti anche, il fuoco incendiò anche le scale mobili e furono a decine i ragazzi e le ragazze a crollare giù mentre tentavano disperatamente di scappare attraverso di esse. Poche persone riuscirono a fuggire attraverso la tromba di scale delle uscite di emergenza dell’Università ma furono però travolte nel tentativo di abbandonare l’ateneo al primo piano, tra la furia degli estintori, il fuoco e la massa di studenti che, in preda all’incubo e alla disperazione, si schiacciarono gli uni con gli altri nel tentativo di trarsi in salvo attraverso gli ingressi. A Peter tutto questo non interessava. Aveva fatto ciò che doveva fare e dall’ultimo piano udiva con grande soddisfazione e sommo piacere le grida disperate dei ragazzi, dei docenti, delle guardie e dei custodi che si proiettavano fino ai piani alti di quell’Università tanto moderna e accattivante.

Solo adesso si rese conto di quanto la sua personale vita fosse così importante perché sapeva che un uomo esiste solo quando incide sulla vita di tante persone, e lui c’era riuscito, aveva realizzato qualcosa di terribilmente concreto. Per un attimo si perse nel vortice dei suoi pensieri, completamente solo, allucinato, avulso dalla realtà tragica che aveva cagionato. Si chiuse in un mutismo profondo e in un immobilismo ancora più atroce innanzi alle finestre al 5° piano dell’U6. Gettò gli ultimi millilitri di benzina che ancora aveva con sé e rifece ciò che aveva già fatto più volte: fiammiferi, fuoco, distruzione. Poi riprese a muoversi. Ormai tutti i piani dell’edificio U6 dell’Università Bicocca erano sotto l’enclave di un gravissimo incendio e quando le fiamme raggiunsero le caldaie anche al primo piano, un’esplosione tremenda distrusse gran parte dei vetri e degli uffici che lì erano ubicati. Il fuoco cresceva e continuava a mietere morti e feriti.

Peter guardò dalla finestra, guardò giù in basso mentre le ultime fiamme si espandevano alle sue spalle e gli si avvicinavano. Nei giardini dell’università e nella piazza degli studenti, c’erano adesso tre camion dei pompieri, forze dell’ordine, polizia,  giovani che urlavano e scappavano dalle fiamme. La folla era terribilmente grande, sconcertante nella sua immensità. Peter la guardò e ripensò al suo povero padre solitario e a quanti sacrifici aveva dovuto fare per lui, a quanti malesseri aveva subito per la scomparsa della moglie e della madre del suo unico figlio. Quel figlio che stava per scomparire per sempre da questa triste terra di desolazione. Peter guardò quella folla di gente dall’altezza dove egli si trovava e la schizofrenia più devastante giunse a travolgerlo poco prima che potesse aver coscienza della propria fine.

La folla era enorme e quando Peter iniziò a sbraitare dalle finestre del 5° piano quella folla formata da pompieri, studenti, poliziotti, camerieri, custodi, iniziò a guardare disperatamente verso di lui pur non sapendo perché quel giovane si affacciasse così tanto dalle finestre, perché gridasse e non cercasse di mettersi in salvo come gli altri. Ora tutti lo osservavano; oltre al celere operato dei pompieri e delle autopompe serbatoio ora spiccava quella gracile figurina di giovane uomo che protendeva il capo e urlava fuori dalle finestre del quinto piano. Peter pensò a suo padre e si preparò a cadere nel vuoto. Prese la rincorsa per farlo. Ripensò alla sua amata Laura. Stava per sfracellarsi a terra. Stava per dire addio alla sua infelice esistenza di emarginato.

Ma prima di buttarsi dal 5° piano, dalle finestre enormi ancora non travolte dal fuoco, aveva gridato a squarciagola, con tutta la forza e la voce che ancora aveva in corpo, a tutti quelli che lo guardavano terrorizzati:  “Sono stato io!!! Io !!!Io !!! Sono un’ex studente di questa università, mi chiamo Peter!! Ho usato questa!!” e mostrò a quella folla sconvolta la tanica usata per lo spargimento della benzina che gettò subito all’aria appestata. Peter cadde e si schiantò a terra in un immenso lago di sangue e sofferenza,e tutti, comprese le forze dell’ordine presenti alla caduta suicida di Peter, non avrebbero dovuto aprire un gran caso per capire chi avesse appiccato il fuoco: avevano già trovato il colpevole.

Yari Lepre Marrani

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