Del 2 Febbraio 2024 alle ore 03:01
Il campione inglese correrà per la rossa di Maranello in Formula 1
di Mario Piccirillo
ROMA – È evidentemente rosso il trampolino verso l’immortalità sportiva di Lewis Hamilton. Il campione inglese correrà per la Ferrari a partire dal 2025. Dopo il breve comunicato della Mercedes che ha ufficializzato l’addio dalla fine del prossimo campionato di F1, la scuderia di Maranello ne ha annunciato l’ingaggio: “La Scuderia Ferrari è lieta di annunciare che Lewis Hamilton si unirà al team nel 2025, con un contratto pluriennale”.
Hamilton ha scelto la Ferrari per chiudere una parentesi di sospensione temporale aperta nel dicembre del 2021, all’ultimo giro dell’ultima gara del Mondiale che Verstappen gli scippò a spallate, di sponda sui regolamenti e i commissari. Scrissero che s’era chiusa un’era politica e tecnologica della Formula 1: fermo a sette titoli per sempre, a uno dal record assoluto. Solo campione, ma non mito. Niente riconoscimento statistico: il migliore-e-basta doveva restare un’etichetta utopica. Nessuno più di lui, solo Michael Schumacher quanto lui. E invece no. A quaranta anni Hamilton si regalerà la Ferrari e la possibilità di ascendere a un livello tutto suo. Di farsi mostro finale, per chi vorrà cimentarsi. È il guizzo ultimo della persona e del personaggio, lo sportivo e l’uomo che s’espone nelle battaglie civili. E chissà se la malandata Italia del 2025 sopporterà il peso mediatico dell’unico pilota nero di successo, caso bellico di riscatto sociale in un mondo – i motori – non inclusivo. Non solo per questioni razziali, ma ancor di più per chi non se lo può permettere. Ha corso contro lo stigma della differenza, della solitudine, della non appartenenza.
Per Hamilton, le corse non sono mai state semplicemente una gara, ma un silenzioso atto di sfida. La vittoria come forma di vendetta su uno sport e un sistema che da lui si aspettavano che sapesse stare al suo posto. Il posto se l’è scelto, davanti a tutti.
Deve farcela e basta, provarci per due anni di Mercedes sgarrupata non bastava più. Per troppo tempo ha indossato i panni caldi e scomodissimi dell’uomo che sapeva scegliersi le battaglie, l’atleta dal raffinato fiuto politico che ha saputo lasciare la McLaren al momento giusto per poi andare a dominare in Mercedes, con una vettura che all’epoca gli si è ritorta quasi contro in termini di immagine personale. In Formula 1 i campioni corrono sempre a rischio tormentone: “Eh, con quella macchina vincevo pure io”, tipo. Hamilton ha divorato il circo della Formula 1 nella sua trasversalità, lavorando sui risultati e sull’icona Lewis, il brand. Il velocissimo e multiforme pilota quasi a tratti imbattibile, almeno fino a quello scarto nel deserto, e alla successiva dittatura di Verstappen. Ma anche il simbolo del riscatto economico e razziale. In combinata. Con quell’ombra – quella sì imbattibile – in scia: Schumacher. In attesa di definire la sua casella statistica nella storia, ha agganciato il contesto, imponendosi come leader della transizione verso un mondo con gerarchie sociali più rarefatte e barriere culturali friabili. Hamilton resta una figura polarizzante, in uno sport che ha la noia come incubo incombente, sempre più tecnocratico ogni anno che passa.
C’è stato un Hamilton per tutti, come le Barbie: Lewis musicista, Lewis modaiolo, Lewis ambientalista, Lewis vegano, Lewis Black Lives Matter, Lewis arcobaleno. Ha attirato su di sé un odio curiosamente interculturale, attraversando i confini politici e demografici, ha dominato i media mainstream e istigato i recessi più oscuri dell’Internet. Si può dire, senza tema di smentita, che da solo ha salvato la Formula 1 dalla irrilevanza, assorbendo un’antipatia viscerale, emotiva. La sua tendenza a trasgredire le norme, siano esse culturali o politiche, lo ha perseguitato. Ma Hamilton arriva in Ferrari ormai anestetizzato, da tempo s’è reso conto di non aver bisogno che ci piacesse, ribaltando tante delle aspettative che solitamente riponiamo sugli eroi sportivi: più di ogni altra cosa che restino vincolati alla nostra approvazione. La Ferrari, per lui, non è un bolide. È un semplice mezzo di trasporto, con l’ultima fermata a chiamata: l’ottavo Mondiale, col Cavallino rampante. L’eternità è fatta così.
Agenzia DIRE www.dire.it
L’articolo Lewis Hamilton, l’ultima trasgressione: in rosso Ferrari per l’immortalità è già apparso su Il Corriere Nazionale.